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Regione Toscana
Indipendenza Toscana: Giani, nostra regione motore dell’Unità d’Italia
Il presidente del Consiglio ha aperto la seduta solenne ricordando protagonisti ed eventi del 27 aprile 1859. Prima della seduta, deposizione corone in memoria di Giuseppe Dolfi, Ferdinando Bartolommei, Bettino Ricasoli e Ubaldino Peruzzi. Ceccuti: fu una rivoluzione di civiltà
Consiglio regionale
“Oggi è davvero punto di riferimento dell’entità statuale della nostra regione, che si proietta in un turbinio di vicende capaci di dar vita alla nazione italiana”. Così ha esordito il presidente del Consiglio regionale Eugenio Giani, dando il “la” alla seduta solenne per celebrare il 27 aprile 1859, Indipendenza della Toscana.

“Quel giorno la città di Firenze viveva la sua ‘rivoluzione di velluto’ con la partenza, dalla Capitale del Granducato di Toscana, di Leopoldo II dei Lorena”, ha continuato il presidente. “Seguirono due anni caratterizzati da un rapido evolversi di eventi: si costituì allora un governo provvisorio che guidò Firenze e la Toscana per quasi un anno, esercitando un ruolo determinante, nel percorso dell’Unità d’Italia”.

Nel marzo 1860 si tenne il plebiscito che decretò a larghissima maggioranza l’annessione della Toscana al Regno di Sardegna: oltre 366 mila toscani votarono, e i voti favorevoli furono il 94 per cento. “L’Unità d’Italia si formava in quegli anni, e se i Savoia furono il centro e il cuore – ha sottolineato Giani – la Toscana fu il vero cervello di quel percorso che porterà, solo cinque anni dopo, all’unificazione non solo del Nord ma di tutta la penisola, che a pieno diritto potrà chiamarsi ‘italiana’. “La Toscana fu dunque, a partire dalla mattina del 27 aprile 1859, vero e proprio motore, per il passaggio dalle dinastie alla democrazia, spinta decisiva per la nazione Italia”, ha affermato il presidente, ricordando i quattro personaggi che la mattina del 27 aprile ebbero un ruolo fondamentale nell’organizzare la manifestazione decisiva, in piazza Indipendenza, che indusse il Granduca a lasciare Firenze.

“Prima della seduta solenne ho voluto rendere omaggio e deporre corone in memoria di Giuseppe Dolfi, al Cimitero delle Porte Sante, in via Lambertesca sotto la targa che ricorda Ferdinando Bartolommei, in piazza Indipendenza in onore di Bettino Ricasoli e Ubaldino Peruzzi – ha affermato Giani – quattro grandi personaggi che ebbero un ruolo fondamentale nell’organizzare la manifestazione decisiva che indusse il Granduca a lasciare Firenze la mattina del 27 aprile. “Quel giorno in piazza Indipendenza tutta la Toscana era lì ed oggi, 27 aprile 2017, lo ricordiamo con orgoglio”, ha concluso il presidente

Indipendenza Toscana: Ceccuti, fu una rivoluzione di civiltà

Il professore, nella sua relazione, ripercorre gli avvenimenti principali di quel 27 aprile 1859 a Firenze, che aprirono la strada all’unità nazionale

Firenze – “La Toscana ha dato una lezione incomparabile di civiltà al mondo in due occasioni. Nel 1786, con la Costituzione di Pietro Leopoldo e l’abolizione della pena di morte e della tortura. Nel 1859, con una rivoluzione politica, dagli effetti dirompenti, ma pacifica, senza che fosse sparato un solo colpo di fucile, senza morti né feriti. Eppure, allora, una dinastia concludeva malinconicamente il suo regno”. Lo ha sottolineato Cosimo Ceccuti, professore ordinario di storia contemporanea alla ‘Cesare Alfieri’, da poco in pensione, nel suo intervento alla seduta solenne del Consiglio regionale della Toscana sull’Indipendenza toscana.

Ceccuti ha ricordato il clima di festa di quel 27 aprile, con le quasi ventimila persone raccolte alle ore 12 in piazza Barbano, in seguito piazza Indipendenza, per andare verso palazzo Pitti, ma che arrestarono la loro marcia in piazza della Signoria, dove a Palazzo Vecchio venne issato il tricolore sul balconcino a fianco del David di Michelangelo. Molte le espressioni di plauso a Vittorio Emanuele II e a Napoleone III, i grandi alleati, senza un solo grido ostile all’Austria. Le truppe, undicimila uomini, di austriaco avevano solo il comandante e fraternizzarono con la folla. Il Granduca Leopoldo non accettò la richiesta di abdicazione in favore del figlio Ferdinando e preferì andarsene. “Gli effetti di quel 27 aprile andavano molto al di là dei confini della Toscana – ha rilevato il professor Ceccuti – La proclamazione della fine dei Lorena, votata poi dall’assemblea toscana in agosto, apriva la strada all’unità nazionale più di ogni altra rivoluzione avvenuta in quelle settimane negli altri stati della penisola”. Chiedendo l’unione al regno di Vittorio Emanuele, infatti, Ricasoli ed i toscani facevano saltare il progetto dell’Italia divisa in tre stati, rompevano ogni schema e portavano il Regno di Sardegna oltre l’Appennino. “Il governo provvisorio di Ubaldino Peruzzi, Vincenzo Malenchini, e del maggiore Alessandro Danzini, fra i suoi primi provvedimenti, emanò il decreto che abolì la pena di morte, reintrodotta dal Granduca, ma mai applicata – ha concluso il professor Ceccuti – Perché, recita testualmente il decreto, ‘fra noi la civiltà fu sempre più forte della scure del carnefice’. Questo è il senso della rivoluzione toscana del 1859”. (dp)

27/04/2017 13.32
Regione Toscana

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