GENIO 2006. ORO LONGOBARDO: IL DONO DI UNA REGINA
Dal Museo dell’Opificio la legatura aurea dell’Evangeliario di Teodolinda
La splendida opera di oreficeria altomedioevale, sarà esposta nel Museo dell’Opificio delle pietre dure fino al 14 maggio 2006 all’interno del Genio Fiorentino. Unica per le straordinarie qualità artistiche e tecniche come per il carisma della donatrice, fu donata insieme ad altre ricchissime suppellettili sacre, da Teodolinda, regina dei Longobardi dal 589 al 628, alla basilica di San Giovanni Battista di Monza. Così si legge infatti sulle due coperte della legatura, nell’iscrizione dedicatoria in lingua latina. La legatura si compone di due coperte di forma rettangolare (34 x 26 cm), in legno, interamente ricoperte da lamine d’oro e gemme, che costituivano il pannello superiore e quello inferiore della legatura di un Evangeliario, oggi non più esistente, forse un codice già in uso presso la basilica monzese, quale un sacramentario per la celebrazione della Messa. L’unico metallo utilizzato per la realizzazione dei due pannelli è l’oro, ulteriormente impreziosito da una grande quantità di gemme di vario tipo, da granati, da cammei antichi (oggi in numero di sei, poiché due degli otto originari sono stati sostituiti da diaspri incisi, di realizzazione settecentesca). Fra le 110 pietre che sono contenute nei bracci delle grandi croci (una per ogni piatto della legatura) spiccano le due centrali, due enormi corindoni della varietà zaffiro, con taglio cabochon, che hanno le caratteristiche dello zaffiro chiaro di Sri Lanka.
L’opera appariva compromessa nella corretta leggibilità per i danni subiti con l’uso (evidente soprattutto lo schiacciamento del pannello inferiore, su cui gravava il peso del grande volume di testi sacri) ma soprattutto per le conseguenze di un numero imprecisato di smontaggi, di cui il più radicale sembra essere stato effettuato alla fine del XIX secolo: le sottili lamine d’oro furono smontate dal loro supporto originale, furono modificati i sistemi di ancoraggio tra le lamine e il loro supporto, come rivelano i chiodi nuovi, di fattura industriale, e fu addirittura realizzato ex-novo un segmento del nastro perimetrale del piatto inferiore, evidentemente danneggiato per lo schiacciamento. Anche l’analisi del legno di noce nazionale, utilizzato per il nuovo supporto, sembra confermare la datazione dell’intervento alla fine del XIX secolo. Il sistema utilizzato nell’occasione di quell’intervento per l’integrazione dei granati mancanti, che arricchiscono tutto il nastro perimetrale, si è dimostrato inadeguato perché i materiali utilizzati per quelle integrazioni, non compatibili con il metallo degli alveoli, hanno finito con lo sbriciolarsi, causando una perdita dell’unità coloristica della decorazione e introducendo rischi preoccupanti per la stabilità degli elementi originali. Quell’intervento, non guidato da un’indagine volta a conoscere la tecnica esecutiva originale, straordinariamente raffinata e complessa, doveva con il tempo mostrare tutta la sua inadeguatezza non solo a livello estetico, ma anche conservativo. L’intervento, condotto dal settore di restauro delle Oreficerie dell’Opificio, ponendosi come obiettivo primario il consolidamento di tutte le parti originali ai fini di una duratura conservazione, è stato indirizzato da una lunghissima ricerca sui materiali da utilizzare per il consolidamento e per le integrazioni, per verificarne sia la completa reversibilità e la compatibilità con i materiali originali, sia la stabilità e la durata a livello materico e cromatico, sia l’adeguato inserimento nel contesto eccezionale di questa oreficeria, che l’antichità, la provenienza, la qualità dell’esecuzione rendono unica, quindi da proteggere e trattare con il rispetto che è doveroso verso una testimonianza preziosa ed irripetibile di una antica civiltà.