CONSIGLIO PROVINCIALE PER IL “GIORNO DEL RICORDO”
Il testo integrale dell’intervento del Senatore Lucio Toth
“Chi pensava che la data del 10 febbraio sarebbe passata un po’ sotto silenzio quest’anno per la diversa situazione politica del Paese è stato smentito. In tutta Italia – ha sottolineato nel suo intervento in Consiglio provinciale il Senatore Lucio Toth, intervenuto per celebrare, anche in Provincia, la Giornata del Ricordo – la giornata si è celebrata con partecipazioni di popolo, raccolta intorno agli esuli istriani, fiumani e dalmati e ai loro discendenti, dalla foiba presso Trieste, luogo emblematico dei massacri, al palazzo del Quirinale, alla stazione di Bologna dove noi esuli fummo accolti nel 1947 in maniera molto fredda e ostile e dove la città di Bologna ha voluto porre una targa a ricordo di questo fatto, a chiedere in qualche modo scusa di questa incomprensione.
Il presidente Giorgio Napolitano ha pronunciato quest’anno parole ancora più chiare di quanto non fossero state quelle del Presidente Ciampi un anno fa, ha parlato di riconoscimento troppo a lungo mancato, di una ondata di cieca violenza, di un disegno di sradicamento della presenza italiana da quella che era e cessò di essere la Venezia Giulia, questo è un giudizio fondamentale della nostra tragedia, di un disegno di sradicamento della presenza italiana, di una disumana ferocia che si concluse in una pulizia etnica, così l’ha definita il presidente Napolitano, e infine di una congiura del silenzio per pregiudiziali ideologiche, cecità politica, calcoli diplomatici.
Anche i media, la stampa e la Tv hanno dato risalto all’avvenimento, forse la classe politica sia di maggioranza e di opposizione non so se l’aspettasse, l’ex sindaco di Genova, Adriano Sansan, profugo come noi, ha detto: l’Italia è stata feroce e la verità arriva troppo tardi, occultata con crudezza soprattutto dalla sinistra, la generazione dell’esodo sta scomparendo, poi finirà anche il nostro dialetto istriano, quello che mi serve per pensare. Io penso che forse non sarà così, quello che resta nel mondo degli esuli aiuterà i fratelli rimasti in Istria, Fiume, in Dalmazia a conservare la nostra voce e a trasmetterla ai figli.
Direi che le parole del Presidente Napolitano sono un giudizio che suggella la insanità dei pochi gesti di vandalismo che si sono verificati in alcune città italiane e degli insulsi disordini che si sono svolti anche qui a Firenze sabato scorso, e io esprimo, abbiamo già espresso la nostra solidarietà al corpo della Polizia di Stato per il ferimento di alcuni agenti qui a Firenze, Alessio Luci, che sono intervenuti a difesa di una manifestazione legittimamente autorizzata. Che cosa volevamo noi esuli in tanti anni in cui chiedevamo questa legge a suggello del ricordo? Perché la legge che è uscita, la ‘92 del 2004, era già pronta per uscire già nel 2001 quando c’era una maggioranza diversa, fu soltanto un problema fra le due Camere, fu approvata dalla Camera dei Deputati non arrivò in Senato perché ci fu lo scioglimento della legislatura, quindi non è una legge voluta dal governo di centrodestra ancorché ovviamente le maggioranze parlamentari sono quelle che sono perché i fatti hanno la loro importanza nella vita naturalmente, quindi è chiaro, però già allora si era profilata una grande maggioranza e le stesse persone che mi avevano aiutato nel 2001 a portare a termine una prima legge in Parlamento nel marzo del 2001, cioè l’onorevole Fini di Alleanza Nazionale, l’onorevole Menia, deputato di Trieste, l’onorevole Giovanardi, gli onorevoli Fassino, Violante e Ranieri dei DS, che mi avevano dato una mano nel raggiungere un accordo sono stati gli stessi che poi nel 2004 hanno consentito ai noi esuli e alle nostre associazioni di raggiungere questo risultato.
Cosa vogliamo fare con questa giornata? Non riaprire una pagina dolorosa della guerra civile del ‘43 – ‘45 perché se anche la nostra vicenda si attacca in qualche modo come una cerniera alle vicende della guerra civile italiana, della resistenza e quindi della guerra di liberazione, dall’altro lato è come una liberazione mancata, una resistenza tradita, una resistenza delusa, dall’altro si riallaccia anche alla resistenza del popolo jugoslavo contro l’occupazione nazifascista di cui l’Italia fascista era inevitabilmente una parte. Quindi sono due guerre civili che si sono incrociate e non si può liquidare soltanto come un episodio secondario, locale, della guerra civile italiana. Come ha detto il professor Spazzali pochi minuti fa, parlando in Consiglio comunale, è un luogo dove si è incontrata la storia d’Europa, dove la storia d’Italia si è incrociata con la storia d’Europa, la storia del Reich tedesco, che aveva occupato quelle Regioni militarmente nel ’43, esautorando in gran parte le autorità italiane della residua Repubblica Sociale Italiana, voi conoscete la storia di Palatucci, quello che ha salvato migliaia di ebrei di Fiume e della Venezia Giulia, i suoi poteri erano limitatissimi perché le autorità militari tedesche avevano stabilito una loro autorità particolare su quelle Regioni che nel resto d’Italia non c’era.
Quello che noi allora vogliamo ricordare, sono innanzitutto riaffermare l’italianità storica delle nostre terre d’origini, Istria, Dalmazia, regioni di frontiera con altre culture, la cultura slava, la cultura germanica che avevano saputo convivere pacificamente per secoli all’epoca della Repubblica Veneta, noi compiangiamo come si compiange a volte un passato appunto che sembra dorato, chissà che cosa era, comunque ad ogni modo certo era l’epoca in cui andavamo d’accordo ma per il semplice fatto che non c’erano ancora i nazionalismi, quindi gli storici hanno accertato che già nei primi dell’800 è cominciato il primo conflitto etnico che l’Austria ha in parte anche alimentato e che certamente la formazione dell’unità italiana, con la capitale Firenze del 1861 non ha fatto che aggravare, testimone di questi fatti fu Niccolò Tommaseo, che dopo aver sperato che anche l’Istria e la Dalmazia potessero entrare nel Regno d’Italia si rese conto che i tempi erano tempi lunghi che si sarebbero perdute parecchie generazioni prima di raggiungere questo risultato.
E il risultato fu raggiunto nel ’18, anche se in quel momento, per varie ragioni storiche militari, noi annettemmo al nostro Stato anche zone abitate da popolazioni slovene e croate, nella zona delle Alpi Giulie e nell’intorno dell’Istria, ma la prima cosa da sfatare è che ormai sembra che veramente il risultato sia raggiunto è che quelle terre erano abituate da italiani autoctoni che in Istria erano maggioranza, a Fiume erano maggioranza, a Zara erano ancora maggioranza nel 1945, ed erano state maggioranza fino a un secolo fa, o poco più di un secolo fa anche a Spalato o Sebenico, i mutamenti demografici, l’inurbamento delle masse rurali in Dalmazia avevano lentamente alterato, inevitabilmente per un flusso logico le città di Spalato o di Sebenico, che avevano conservato una amministrazione italiana fino alle fine dell’800, Zara invece riuscì a resistere fino alla fine del 1915.
Prova di questa italianità sono i 50 mila internati che l’Austria portò nei campi di internamento o nei campi di sterminio durante la prima guerra mondiale, gli interi Consigli comunali, il Consiglio comunale di Zara, di Fiume, di Pola, furono tutti internati perché considerati nemici dell’Austria-Ungheria, anche questo fa parte della storia. Quello che è successo poi a noi, tra il ‘43 e il ’54, cioè tra l’accordo e il collasso dello Stato Italiano, e il memorandum di Londra del 1954, con 350 mila profughi complessivamente che siamo venuti via da quelle terre, io sono di Zara, è stata la cancellazione di una presenza o quasi, di una presenza italiana autoctona in quelle terre, dove non è stata portata dal fascismo, Pola era una città italiana nel 1600, nel 1700, nel 1800, all’inizio del 1900, anche la base militare austriaca di Pola, con tutto l’afflusso di ufficiali marinai che questo fatto determinò dopo il 1866, non cambiò il carattere italiano della città e a dimostrazione di questo fu il numero dell’esodo, 20 mila da Zara su 22 mila abitanti, 40 mila da Fiume su 45 mila abitanti, 40 mila da Pola su 42 o 43 mila abitanti, cioè l’esodo fu una manifestazione di italianità che veniva, nasceva - come ha spiegato anche oggi il professor Spazzali - sia dal terrore dei massacri delle foibe che si erano abbattuti tra il ‘43 e il ’45, e i massacri fatti ugualmente dai partigiani jugoslavi di Tito in Dalmazia nel ’44, prima Spalato nel ‘43 e poi a Zara nel ’44, centinaia di persone i cui parenti hanno ricevuto un riconoscimento l’altro ieri dal Presidente Napolitano in un clima di commozione a palazzo del Quirinale che veramente è stato un compenso per tanti anni di solitudine e di silenzio.
Noi abbiamo partecipato al Risorgimento italiano come volontari, alla prima guerra mondiale come volontari, qui a Firenze avevate non solo Niccolò Tommaseo o Musafia, ebreo e dalmata che insegnava letteratura italiana qui, ma avete avuto Gianni Stupavic, Shipo Slapater, il fratello di Stupavic che è caduto sul Carso insieme con Slapater, cioè c’era intorno alla Voce come volti di voi sanno, intorno alla rivista “La Voce”, questi ragazzi, questi giovani che erano animati da sentimenti universalistici, il nostro irredentismo, anche quello dello stesso Ruggero Timeus era un irredentismo molto aperto agli altri, è stato poi il regime fascista, il nazionalismo, e anche l’ottusità delle autorità amministrative italiane che non erano preparate ad amministrare una Regione plurale, una Regione dove c’erano sloveni, c’erano croati e c’erano italiani irredenti perché noi stessi soffrimmo nel primo periodo dell’occupazione, della redenzione, abbiamo accolto l’Italia con una manifestazione delirante di cui fanno fede le fotografie di quegli anni a Zara, a Sebenico, a Capo d’Istria, la folla in ginocchio sulle rive per accogliere gli italiani, quelle città ammantate di tricolori, quell’entusiasmo che divento poi fedeltà e si manifestò con un alto numero di caduti e di volontari durante le guerre italiane perché la nostra Regione, la Venezia Giulia ha avuto il più alto numero di caduti in guerra e il più alto numero di decorati al valor militare, segno di un amore della patria che non era mai cessato, per noi l’Amministrazione italiana non era preparata a guidare, a noi bastava avere un cognome straniero per essere guardati con sospetto, e non si capiva che in una situazione plurietnica il cognome non voleva dire nulla, Gianni Stuparic era un italiano, Carlo Stuparic era un italiano, mio padre e mia nonna erano italiani, quindi non voleva dir nulla, anzi i più grandi patrioti a volte portavano un nome italiano, come Roberto Viglianovic, capo del Partito irredentista di Sebenico, si chiamava Viglianovic ed era un italiano da generazioni, e avevano anche una visione molto aperta, se noi leggiamo le parole dei nostri irredentisti, il grande rispetto per la colazione slava che stava con noi, e del resto come avremmo potuto pensare che un’Italia poteva amministrare questi territori se non nella comprensione del riconoscimento, nel mantenere quella pluralità culturale che l’Austria aveva conservato, questo non fu fatto, furono abolite le scuole slovene e croate, non ci fu una vera e propria obbligatorietà nel cambiare i cognomi, come vedete io non l’ho cambiato e moltissimi miei connazionali, con cognomi di origine straniera non l’hanno cambiato, però certamente è avvenuto un fenomeno sul piano sociologico e politico interessante, la pressione psicologica che veniva fatta specialmente sui ceti più umili nelle Regioni, proprio nelle Regioni abitate prevalentemente da croati e da sloveni, nel senso di fare difficoltà quando entrava uno nell’Amministrazione, ma cosa vuoi andare in giro per l’Italia con questo nome, correggilo, e qualche volta o il segretario del fascio o il segretario comunale riusciva a convincere le persone a cambiarlo, quindi ci fu un cambiamento di alcune persone.
D’altra parte era anche vero che l’anagrafe austriaca aveva portato dei cambiamenti di cognome e poi nei secoli erano tante state le vicende che questi cognomi delle famiglie spesso erano cambiate, Tommaseo si chiamava così da secoli ma se qualcuno della stessa famiglia si chiamava Tommasic non c’era niente di strano. Questa situazione plurale e complessa non fu capita dalle nostre autorità, e anche i nostri ricordo, mio padre era ufficiale dell’esercito, doveva spiegare: noi siamo italiani ma vicino a noi ci sono persone che italiane non sono, bisogna rispettare la loro identità. Tutto questo naturalmente ci si è ritorto contro al momento del collasso dell’esercito italiano nel ‘43, ma come ha ricordato oggi il professor Spazzali, come ha affermato il Presidente della Repubblica Italiana, non si può creare un nesso causale tra la - diciamo così - miopia e le discriminazioni che l’Italia aveva portato nei confronti delle popolazioni slovene e croate durante i 25 anni di amministrazione italiana e le stesse violenze e atrocità commesse a volte dalle nostre truppe nell’occupazione della Bosnia, della Croazia o della Slovenia, della Jugoslavia occupata nel 1941, non valgono a giustificare quello che è successo a noi, perché noi siamo stati sradicati con un disegno preciso di sradicamento, lo scopo rivelato da Carderic che gli era stato ordinato da Tito: fate andate via dall’Istria e dalla Venezia Giulia più italiani che potete, con tutti i metodi. Si cominciò con le foibe e poi con le persecuzioni, per cui subito furono colpite persone che con il fascismo non c’entravano nulla, per far capire che bastava essere italiani per essere uccisi, e poi si arrivò a sopprimere i rappresentanti del CLN delle città, si cominciò a sopprimere i partigiani comunisti che si opponevano a questo disegno annessionistico, e tutta la storia drammatica e ignorata della Resistenza partigiana italiana nella Venezia Giulia, che è rimasta patrimonio soltanto locale che va purificata e va ricercata, le nostre formazioni partigiane italiane furono disarmate dai titini nei primi giorni di occupazione a Trieste, obbligando i nuovi comandanti e i membri del CLS di Pola e di Trieste a fuggire, perché vennero imprigionati nelle stesse carceri dove qualcuno era passato durante l’occupazione nazista e tedesca, le stesse prigioni sono entrate dentro le stesse persone a distanza di pochi mesi, si erano salvate prima per qualche ragione, rientrarono e furono torturate e uccise, quindi nelle foibe finirono moltissimi resistenti, gli autonomisti fiumani, partigiani comunisti, possono fare il nome, Zustovic perché la figlia mi telefonò due anni fa quando ne parlai in televisione e mi chiamò il giorno dopo piangendo e dicendo: è la prima volta qualcuno ricorda che mio papà, partigiano comunista e giovane comunista trentenne, aderente al Partito Comunista, è stato ucciso in una foiba perché si era rifiutato di compiere massacri a danno dei suoi cittadini, si chiamava Zustovic ed era un italiano di lingua, di sentimenti, un comunista italiano, questa è la realtà di quello che è avvenuto. Quindi dividersi su di noi, sul fatto del fascista o non fascista, comunista o non comunista, è una cosa di una tale retrogradezza, scusatemi il termine che non è molto fiorentino, dal punto di vista culturale ma vi parlo veramente con quello che so e con il cuore di un esule democratico, tale è stato fin da quando ero ragazzo perché ho capito fin da bambino cos’erano stavi gli errori del fascismo, perché ero a Zara, durante gli anni della guerra, ho visto quello che è successo con i bombardamenti e la furia contro gli italiani che si abbatté su di noi prima nel ‘43 e poi nel ‘45 giustamente il Presidente Napolitano l’ha definita come meritava.
Affermando questa nostra antica italianità, questa nostra appartenenza alla memoria della nazione, noi vogliamo anche che non vengano dimenticati non solo i nostri caduti o i martiri della prima guerra mondiale, Nazario Sauro, Fabio Finzi, Francesco Rismondo e tanti altri, che non vengano dimenticati i nostri grandi umanisti, De Nominis, Vergerio, Patrizi che hanno lavorato e che hanno contribuito al Rinascimento italiano, dei grandi scultori, Giovanni Dalmata, Francesco Laudana, dei grandi architetti, cioè Giorsini, Luciano Laudana, erano di Zara, hanno costruito il palazzo ducale d’Urbino, tutte le Marche portano il loro disegno, erano allievi di Leon Battista Alberti, hanno portato l’arte Toscana in Sicilia, hanno portato l’arte toscana in Provenza, erano dalmati, erano latini e della Dalmazia, perché l’italianità in Dalmazia non è arrivata con la Repubblica di Venezia, questo lo sanno bene gli storici, quelli che conoscono la storia dell’impero bizantino, anche gli storici serbi lo riconoscono senza difficoltà, non solo la penisola istriana era a maggioranza italiana in tutti i suoi secoli ma anche le cittadine della Dalmazia non tutte, ma le città importanti, quelle che costituivano i piccoli Comuni, Zara, Arbe, Spalato, Sebrenico, Ragusa, logicamente Dubrovnic, Ursula, erano dei liberi Comuni dove i potestà venivano da Firenze, da Fermo, da Fano, da Imola, da Padova e viceversa la nostra gente veniva qui, se si gira per le chiese italiane sono piede di lapidi, dalmatinus, ce ne sono qui a Firenze, quando fu il grande momento del concilio di Firenze tra la Chiesa ortodossa, il morente impero bizantino, e la chiesa romana che si svolse a Firenze nella prima metà del ‘400 c’erano molti preti dalmati che facevano questo lavoro di collegamento e alcuni sono sepolti al San Michele, gli Abertinus, Spalatensis, sono sepolti in tutte le chiese d’Italia, non erano slavi, erano gente di lingua italiana, anche se è una Regione plurale dove a partire dal ‘600 proprio questi studiosi umanisti hanno cominciato a inventarsi la letteratura croata, perché vivendo in terra di frontiera molti di questi umanisti scrivevano in italiano, prima cosa, poi in italiano e anche in croato, sono i fondatori della letteratura croata. Allora noi vediamo che aprendo questi spazi anche nell’Europa unita, verso la quale andiamo, il giorno del ricordo deve diventare l’occasione per conoscere tutte queste cose, perché noi non siamo degli stranieri in questo Paese, eravamo italiani che hanno tenuto alta la cultura italiana e latina in queste terre e che hanno fatto da ponte, oggi è ancora possibile perché ci sono ancora italiani lì, l’attenzione per la cultura italiana è molto elevata, i rapporti tra gli Stati non sono facili, come ha ricordato il Presidente c’è ancora un contenzioso, sia con la Slovenia che con la Croazia, con la Croazia molto più consistente data la maggiore estensione di territori italiani perché la Croazia ha avuto dopo la dissoluzione della Jugoslavia, ovviamente non c’è confronto, la Slovenia si è presa soltanto una parte della vecchia costa italiana dell’Istria, Capo d’Istria, isola Pirano, mentre la Croazia ha preso tutte le altre penisole, da dove viene quel bellissimo bronzo che è stato ospitato qui fino a dieci giorni fa, il bronzo greco, sottratto alla Grecia, veniva verso qualche villa romana, dell’Istria o di Aquileia, all’epoca in cui il mare Adriatico era un mare di grande collegamento, tutti questi posti ci sono ancora degli italiani e si può ancora costruire con le autorità croate, naturalmente il problema della restituzione dei beni è un problema grave, anche se non si tratta di una domanda massiccia, si tratta di duemila - tremila persone che vogliono riavere i beni dei loro familiari, come sta avvenendo per i croati che sono emigrati in Australia o in America hanno indietro la loro casa, per quale motivo non possono avere gli italiani, e si sta discutendo con il governo di Zagabria, voi sapete queste cose, la trattativa è cominciata nel 2002, si trascina con grande difficoltà, ma il ministro D’Alema ha avuto la tenacia di proseguire su questa strada con una continuità che noi esuli abbiamo registrato favorevolmente, lui scherzando ha detto: non penserete mica che ci vogliamo mica ricomprare tutta la Croazia, però la verità è che ci sono migliaia di persone che vogliono riavere indietro la loro casa, che è un diritto sacrosanto di chi se l’è vista portata via.
L’altro problema è il problema dei risarcimenti, perché la maggior parte di noi desidera avere risarcito questo bene, è un po’ complicato perché abbiamo avuto degli acconti nei decenni passati, anche questo è un diritto che va riconosciuto, un altro problema che abbiamo sollevato di nuovo con questo Governo è quello dell’anagrafe, molti dei nostri quando vanno a un ULSS o si ricoverano in un ospedale sono stavi respinti perché nati fuori dall’Europa, perché sulla cosa c’è scritto Zara, Croazia, oppure Zara, Jugoslavia, o addirittura Pola, Serbia Montenegro, cos’ha fatto il computer? Il computer è stupido, ha detto l’ex Jugoslavia è diventata Jugoslavia con la Serbia, poi è diventata Serbia Montenegro, allora uno nato a Pola è nato in Serbia Montenegro, ci sono state delle persone che hanno avuto delle telefonate, qui c’è Miriam Arantini che rappresenta la mia associazione a Firenze, anch’io ho avuto delle telefonate a casa: non vado in ospedale se non sono italiana, dico intanto entri dentro poi vedremo come si può fare, perché tale è l’orgoglio, per voi sembra una cosa incredibile, ma questa cosa il Governo l’ha raccolta, la prossima settimana, il 20 andiamo a Palazzo Chigi a parlare non solo di beni ma anche di questo problema dell’anagrafe che per noi avere su un passaporto o su una tessera sanitaria o su una patente avere queste cose suona un’offesa, non perché odiamo il Paese al quale queste nostre terre sono andate, certo il ricordo che abbiamo conservato non è dei migliori, però sono Paesi che oggi entrano a fare parte della Europa, bisogna accettare la realtà anzi probabilmente è un bene, non un male questo allargamento dell’Europa.
Quindi questa nostra giornata del ricordo e concludo non vuole riaprire ferite né all’interno del Paese né con i nostri vicini del confine orientale, vuole essere invece un passo verso un’Europa nuova e anche riconfermare e riaffermare il diritto di tutti i popoli di vivere nella propria terra conservando le proprie caratteristiche, la propria lingua, i propri costumi, le proprie usanze.
È la battaglia che facciamo ancora in Istria, giorno dopo giorno, per avere il bilinguismo, quello che c’era all’epoca dell’Austria, in tutti i Comuni dell’Istria, è una battaglia dura, difficile, ma ci sono ancora dei nostri connazionali che la vogliono fare e noi abbiamo il dovere di aiutarli, il Governo italiano deve aiutarli anche se all’interno di un Paese democratico come la Croazia di oggi, la loro voce si può fare sentire autorevolmente anche nel Parlamento di Zagabria dove la fanno sentire con i metodi democratici, la democrazia potrà avere tanti aspetti formali, però porta anche a dei risultati concreti, nel momento in cui ancora in altre parti del mondo ci sono milioni di profughi, perché sono di una lingua o di una minoranza diversa da quelli che comandano, il ricordo delle nostre stragi e del nostro esodo dev’essere un monito perché l’Europa si renda responsabile di una maggiore attenzione, ancora l’altro giorno, come era da aspettarsi, ci sono stati dei morti a Pristina nel Kossovo, queste realtà vanno comprese, vanno capite, l’Italia ha un grande ruolo, e noi vogliamo che l’Italia abbia un grande ruolo, ma per capire questo ruolo è necessario che le nuove generazioni sappiano cos’è successo e anche quello che è successo a una parte dell’Italia, quella che Dante nel 23esimo dell’inferno riteneva facesse parte dell’Italia perché aveva visitato l’Istria Dante, ed era veramente inorridito dalla parlata istriota però gli sembrò questo italiano, che era un dialetto neolatino, non ancora il Veneto dolce che abbiamo parlato noi. Ed ancora oggi in Istria ci sono persone che parlano l’istriota, anzi sono proprio contadini che sono rimasti lì e parlano ancora questo antico dialetto che a Dante non era molto piaciuto ma che era, chiaramente, nettamente, integralmente un dialetto neo latino, grazie".