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Normativa e accesso. L’evoluzione della parità e delle pari opportunità nell’ordinamento giuridico italiano
Con particolare riferimento ai luoghi di lavoro

E' utile ispirarsi al libro 'Pari opportunità e discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro' di Ida Grimaldi (ed. Pacini Giuridica) per ricostruire, anche con il supporto di altre fonti, l'evoluzione delle pari opportunità nell'ordinamento giuridico italiano.
La Costituzione della Repubblica Italiana del 1948 sancisce in molti articoli la parità tra donne e uomini.
In particolare l’art. 3 comma 1 della Costituzione stabilisce l’uguaglianza di ogni cittadino di fronte alla legge, senza distinzione di sesso.
L’art. 37 della Costituzione stabilisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di mansioni, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore.
Successivamente alla Carta costituzionale, con Legge n. 860 del 1950, viene introdotto il divieto di licenziamento della donna dall’inizio della gravidanza fino al compimento del primo anno di età del bambino.
Nel 1963, con legge n. 7, viene sancito il divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio. Tale disposizione verrà poi riaffermata, e compiutamente disciplinata, nell’art. 35 del Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna.
Negli anni settanta si assiste poi ad una produzione legislativa di grande rilievo contro le discriminazioni di genere nei luoghi di lavoro.
Viene approvato l’art. 15 dello Statuto dei Lavoratori che stabilisce, in relazione ai rapporti di lavoro, la nullità degli atti o patti discriminatori, ivi compresi quelli basati sul sesso.
Nel 1977, con la Legge n. 903, vengono gettate le basi per un’effettiva parità lavorativa tra uomini e donne.
Per la prima volta il legislatore vieta qualsiasi discriminazione basata sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, la formazione professionale, le qualifiche e le carriere professionali.
La legge n. 903 del 1977 stabilisce che la lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore.
Con legge n. 125 del 1991 si introduce il concetto di pari opportunità, di azione positiva e di discriminazione indiretta. Viene istituito il Comitato Pari Opportunità a livello nazionale e vengono rafforzati ruolo e operatività della figura della Consigliera di Parità.
Viene infine emanato il “Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna”, ossia il Decreto Legislativo n. 198 del 2006.
Tale decreto opera un recepimento ed un riordino di tutte le precedenti disposizioni e rappresenta oggi la fonte giuridica nazionale vigente in tema di pari opportunità tra uomo e donna.
Il Codice, negli artt. 25 e ss., regola nello specifico la tutela contro le discriminazioni di genere nei rapporti di lavoro.
Nell’art. 25 il Codice definisce il concetto di discriminazione diretta ed indiretta nel luogo di lavoro, e nell’art. 26 stabilisce che costituiscono discriminazioni anche le “molestie” e le “molestie sessuali”.
Nell’art. 27 viene vietata qualsiasi discriminazione sul sesso per quanto riguarda l’accesso al lavoro, la formazione professionale, le qualifiche e le carriere professionali. Nell’art. 28 viene stabilito che la lavoratrice ha diritto alla stessa retribuzione del lavoratore quando le prestazioni richieste siano uguali o di pari valore.
Il Codice delle Pari Opportunità definisce anche compiti e funzioni delle Consigliere di Parità.
Le Consigliere di Parità, nominate con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, sono presenti su tutto il territorio italiano, essendo istituite a livello nazionale, a livello regionale, a livello delle Città Metropolitane e a livello degli enti di area vasta.
Le Consigliere di Parità sono figure di Garanzia che offrono una concreta assistenza ogniqualvolta una lavoratrice o un lavoratore subisca un comportamento discriminatorio in relazione al suo rapporto di lavoro.
Infatti le Consigliere di Parità, come principale funzione, hanno il compito, nella massima privacy, di sostenere la lavoratrice o il lavoratore offrendo ascolto empatico e consulenza, incontrando le aziende, promuovendo soluzioni transattive, oppure ricorrendo in giudizio.
La figura della Consigliera di Parità ha quindi sia strumenti di tutela stragiudiziale, sia strumenti di tutela processuale.
Alcune delle situazioni discriminatorie che più di frequente si verificano attengono al rientro in servizio della lavoratrice madre dopo il congedo per maternità.
La lavoratrice madre ha diritto, al termine del periodo di astensione per maternità (obbligatoria o facoltativa), di rientrare nella stessa unità produttiva ove era occupata all’inizio del periodo di gravidanza, di conservare il posto geografico precedentemente occupato.
La lavoratrice madre ha inoltre il diritto di essere adibita alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti.
La situazione che può invece verificarsi è quella in cui la madre lavoratrice, al rientro al lavoro dopo l’assenza per maternità, trovi un ambiente del tutto diverso e atteggiamenti ostili da parte del datore di lavoro e dei superiori.
Di punto in bianco e senza alcun preavviso la sua scrivania non c’è più, o è occupata da qualcun altro o è stata spostata altrove.
La lavoratrice comincia ad essere messa da parte, viene isolata e marginalizzata dal contesto lavorativo, attraverso un demansionamento o un declassamento.
La lavoratrice colpita da tale discriminazione, qualora non riesca a trovare un accordo con l’azienda, ha, tra le varie possibilità quella di agire in giudizio, personalmente o tramite la Consigliera di Parità munita di delega, proponendo ricorso in via d’urgenza al Giudice del Lavoro, ai sensi dell’ art. 38 del Codice delle Pari Opportunità, chiedendo la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti.
Il Giudice del Lavoro, adito con tale strumento, qualora ritenga sussistente la discriminazione, ordina all’autore del comportamento denunciato la cessazione del comportamento illegittimo e la rimozione degli effetti. Il Giudice può al contempo condannare l’autore del comportamento illegittimo al risarcimento dei danni anche non patrimoniali, nei limiti della prova fornita.
Preme rilevare che nei procedimenti giudiziari in materia di discriminazione opera, ai sensi dell’art. 40 del Codice delle Pari Opportunità, un regime di distribuzione dell’onere della prova attenuato a favore della parte che denuncia la discriminazione, alla quale è richiesto di presentare elementi di fatto idonei a fondare, in termini precisi e concordanti, la presunzione dell’esistenza di atti, patti o comportamenti discriminatori in ragione del sesso.
Ritenuto assolto detto onere spetta poi al datore di lavoro provare che la discriminazione non sussiste.
Si parla, a tal riguardo, di inversione dell’onere della prova, a favore della lavoratrice o del lavoratore denunciante. ''(Lina Cardona'')

22/11/2022 12.25
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