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GENIO FIORENTINO: LA MANDRAGOLA
Doppio appuntamento teatrale con una serata a Firenze ed una a Empoli

Il Genio Fiorentino, giunto alla sua terza edizione, apre il sipario alla genialità di Niccolò Machiavelli, portando in scena una commedia considerata il capolavoro del ‘500: La Mandragola.
L’appuntamento è per domenica 20, alle ore 21, nella suggestiva cornice di Palazzo Medici Riccardi. Una serata è prevista anche venerdì 25 maggio a Empoli, nel cortile del palazzo Ghibellino, in piazza Farinata degli Uberti. Ingresso libero.
Messo in scena dalla Compagnie delle Seggiole, lo spettacolo vanta la regia di Giovanni Micoli.
Composta nel 1518, la Mandragola, già intitolata “Commedia di Callimaco e Lucrezia”, fu letta o recitata prima dinanzi a pochi amici negli Orti Oricellari a Firenze, quindi a Roma nel ‘20 e a Venezia, nel ‘23 e ‘26.
La scena è ambientata a Firenze. Un innamorato, Callimaco, tornato da Parigi dopo venti anni di assenza, attratto dalla fama d’una bella donna (Lucrezia) e morto d’amore per lei al solo averla vista, si confida con il servo Siro, pieno di tatto, mansueto e comprensivo. Il servo, per la verità sa già tutta la storia del padrone: di come egli sia partito fanciullo da Firenze, delle cose che sono intervenute poi, tra queste la calata di Re Carlo in Italia, del motivo del suo ritorno, di questa gran passione che gli bolle in corpo. Questa volta però Callimaco vuole qualcosa di più. Siro finge di non capire: “Volete dei consigli?”, gli chiede. Callimaco vuol altro che consigli, vuole andare allo scopo e raggiungerlo presto, seduta stante. Parlando come a un altro se stesso, l’innamorato cerca di chiarire le circostanze che si interpongono: la natura onesta di lei, l’età matura ma non vizza del suo sposo, la difficoltà d’accostarla o comunque di svelarle il suo amore, e d’altra parte poi le ragioni a favore di quel suo disegno: la semplicità al limite della scempiaggine del marito di lei, Messer Nicia, la sua presunzione, la voglia spasmodica d’aver figli e la giovialità e forse scostumatezza della madre di Lucrezia in passato. Di più, c’è Ligurio, il parassita, “amico”, di Messer Nicia, che l’uccella, lo burla, è cinico, pronto a tutto e bisognoso di danaro. Nel suo delirio d’innamorato, Callimaco ha buon fiuto e assolda Ligurio affinché trovi lui una soluzione per il suo scopo d’amore. La prima idea di Ligurio è di mandare la bella Lucrezia ai bagni, alle acque c’è più vita, più facilità di rapporti. E poi? Se madonna Lucrezia conoscesse altri e se ne innamorasse? Messer Nicia, seppur malvolentieri, (l’allontanarsi da Firenze è pur sempre una gran seccatura) accetta la proposta, ma Ligurio non è contento e passa ad altro. Non bastano i bagni; ci vuole qualche cosa di più; un mezzo sicuro che porti il topolino al suo formaggio prima che scatti la trappola. Ha già pensato ad un’altra formidabile soluzione: Callimaco si fingerà medico, venuto da Parigi, e farà quanto gli dirà lui; ma che cosa e come Ligurio non glielo dice, è certo del fatto suo, ma non perde tempo in chiacchiere; si diverte a farlo stare un po' sulla corda. Callimaco rientri in casa e lo aspetti lì. Messer Nicia, al quale Ligurio ha presentato Callimaco, del “dottore parigino” è estasiato: “l'erba fecondante”, la mandragola, è spuntata fuori, come la perla dall’ostrica, come la pietra filosofale dal lambicco d’un alchimista; con la particolarità che il primo uomo che giacerà con la donna che avrà bevuto la pozione di mandragola morirà entro otto giorni…. Il rimedio è presto trovato, basterà trovare un giovinastro, un garzonaccio scioperato e con le buone o le cattive menarlo da Lucrezia in modo che giacendo con lei “assorba, tiri a se” tutto il veleno per poi consentire a Messer Nicia di giacere con la moglie senza pericolo. (Messer Nicia non immagina che il “garzonaccio” sarà proprio Callimaco!!!). Ogni dubbio è stato fugato dalle argomentazioni dei due compari (Ligurio e Callimaco), il vecchio ha superato anche il timore degli Otto (il governo cittadino), “purché non si risappia…”, tutti d’accordo sul “garzonaccio” da prendere e recare a Lucrezia, la donna restia, che la madre rozza e il frate coriaceo dovranno piegare, ognuno avrà il suo bel da fare. Il terzo atto si apre sulla figura di Frate Timoteo, uomo di chiesa, prevaricatore e dalla coscienza impermeabile, disposto a confessare l’inconfessabile in cambio di una buona ricompensa. Finito che ha il frate di colloquiare con una sua penitente, vedovella smaniosa, Ligurio chiude il cerchio convincendo Timoteo nel portare a termine l’inganno ai danni di Messer Nicia. Egli la prende alla larga, gli presenta un misfatto peggiore per saggiarlo e quando il pesce ha abboccato solo allora gli svela il vero imbroglio: Timoteo è “giuntato”, legato all’affare; nondimeno il “giunto” è con suo utile e tutti devono nasconderlo. Ora, tocca a lui, riceverà Lucrezia per convincerla e farà sfoggio di
dottrina, confondendo teologia e utilitarismo, Bibbia e socialità. Arriva allo spergiuro blasfemo (“per questo petto sacrato”), quasi senza accorgersene, tanto la sua anima è incallita. Di fronte agli esempi biblici, come Messer Nicia di fronte ai Re, l’ingenua e casta Lucrezia capitola. Il frate trionfa. Congeda le donne e chiama Ligurio, “gioca” con Messer Nicia, gli promette il figlio maschio; vuole incrementare gli affari, visto che rendono così bene. Solo più tardi, quando la malefatta è per compiersi, si fa prendere dal rimorso. Ma è un lampo. perché non teme la coscienza, quel che teme è la gente, che non si risappia E’ arrivata la sera, e dopo che Messer Nicia ha fatto bere a Lucrezia la pozione di mandragola se ne vanno tutti travestiti per le vie di Firenze in cerca del garzonaccio. Frate Timoteo, costretto da Ligurio, sarà per una sera Callimaco, e questi a sua volta, altri non è che il garzonaccio, il quale di li a poco viene ”catturato” e finalmente introdotto nella camera di Lucrezia. Il giuoco è alla fine: la girandola manovrata con somma arte da Ligurio gira vorticosa e dà gli ultimi sprazzi felici Messer Nicia, oramai del tutto gabbato, ha l’ardire di raccontare come egli stesso abbia spogliato l’uomo per farlo giacere con sua moglie (e che purtroppo non sarà più in vita fra pochi giorni!!!) per constatarne di persona le proprietà virili. Callimaco, da parte sua, racconta di come Lucrezia abbia finalmente aperto gli occhi, decidendo che egli sarà d’ora in poi il suo amante a dispetto dell’ ingenuità del marito. E la beffa finale è quella fatta da Nicia a se stesso, come si conviene allo stolto, con la chiave di casa sua data a Callimaco, perché dimori con lui e non stia come bestia perché “non si partisca”, che se lo merita.

Ufficio Stampa Genio Fiorentino
Giuditta Boeti
Giulia Coli
392/9770521


18/05/2007 13.59
Provincia di Firenze