DON MILANI, L'ARTE COME PONTE VERSO LA FEDE
Mostra a Firenze, nella Galleria Via Larga, fino all'8 ottobre su iniziativa della Provincia e della Fondazione intitolata al priore di Barbiana. Un quadro, sei disegni e altre sorprese
''Giovedì 29 gennaio, alle ore 18, nella ‘Galleria Via Larga’ della Provincia di Firenze, a Firenze in via Cavour 7/r, il Presidente della Provincia di Firenze Matteo Renzi e il Presidente della Fondazione Don Lorenzo Milani Michele Gesualdi, con l’assessore alla Cultura del Comune di Firenze Eugenio Giani, inaugureranno una mostra fotografica, dal titolo ‘Barbiana: il silenzio diventa voce’, che sarà aperta fino a domenica 8 febbraio, con orario 15-19. Nell’ambito della mostra, allestita e curata da Sandra Gesualdi, saranno eccezionalmente esposti un quadro e sei disegni anatomici (ne sono stati aggiunti due rispetto ai quattro iniziali) realizzati dal giovanissimo Lorenzo Milani al tempo del suo interesse per la pittura (1941-1942), prima della conversione e dell’entrata in seminario. E’ la prima volta che viene fatta una “personale” di don Milani, come inizio di un percorso di catalogazione del suo percorso nelle arti figurative. All’esposizione sono stati aggiunti anche alcuni strumenti realizzati a Barbiana da don Milani e i suoi ragazzi, nonché la mappa della Terra Santa colorata proprio da don Lorenzo.
La mostra fotografica, invece, concepita per essere la versione itinerante ed aggiornata del percorso fotografico permanente collocato a Barbiana (nel comune di Vicchio), si compone di 25 pannelli roll-up autoportanti (20 80x200 e 5 100x200) su cui sono stampate foto, alcune inedite, e frasi tratte dagli scritti di don Lorenzo Milani. “La mostra fotografica che inauguriamo in Palazzo Medici Riccardi – spiega Matteo Renzi - è un omaggio alla sua storia, a un modo corale di vivere avendo a cuore le sorti di tutti, la grande lezione per cui ‘sortire insieme dai problemi è la politica, da soli è egoismo’”.
“BARBIANA: IL SILENZIO DIVENTA VOCE”
di Sandra Gesualdi
(curatrice della mostra)
Questa è la narrazione itinerante della mostra fotografica presente a Barbiana a corollario del percorso didattico realizzato lo scorso anno dalla Fondazione, col recupero degli strumenti e dei luoghi didattici originali, per consentire la conoscenza dei metodi d’insegnamento seguiti da don Lorenzo nella sua scuola.
Le fotografie, tutte originali e d’epoca sono state lavorate in digitale e stampate su moderni rool-up, dopo un lavoro di ricerca, recupero e archiviazione.
Recuperarle, quasi restaurarle, ci ha permesso di scorrere quegli anni, osservando da vicino il cammino e la crescita di don Milani e i dei suoi ragazzi.
E’ stato un viaggio a ritroso, che ha richiesto tempo e pazienza, in luoghi vicini ma lontani, dai tratti familiari ma ancora capaci di sorprenderci, con la scoperta di frammenti, paesaggi, volti che il fondo fotografico ripulito e re-interpretato ha fatto emergere.
Immagini sfocate e anonime hanno preso corpo e vita regalandoci la possibilità di inserirle in una narrazione poetica e realistica dai forti contenuti intellettuali che, in certi passaggi, lascia il passo all’attrazione emotiva.
L’incanto e il disincanto del bianco e nero rendono maggiormente affascinanti le immagini e danno voce agli echi delle didascalie, estratti di scritti editi da don Lorenzo.
Il percorso espositivo presenta la vita del priore: la sua giovinezza, il seminario, l’arrivo a Barbiana sino agli sviluppi della scuola; le scene delle lezioni, delle discussioni intorno a un unico libro, dei momenti di vita in comune, si susseguono con l’impatto immaginifico che la comunicazione per immagini offre.
Gli scatti si concentrano soprattutto sugli anni trascorsi a Barbiana, sui luoghi, i primi piani e le atmosfere che don Milani trovò in quel pezzo di mondo e ritraggono in modo obiettivo e lucido, con un ispirato ma mai melodrammatico realismo, i ragazzi che si sono incontrati e formati in quelle atipiche aule.
Le frasi, in calce alle foto, sono pennellate di rifinitura che danno voce e risalto ai fermo immagine.
“Barbiana: il silenzio diventa voce” è il titolo emblematico per un luogo in cui dal silenzio del non sapere, i figli dei poveri e degli emarginati hanno acquisito la consapevolezza che il sapere e la parola rendono uguali.
Suggestivi saggi suggerimenti.
Questa consapevolezza è attuale e attuabile. Gli insopportabili silenzi dell’ignoranza e dell’indifferenza hanno solo cambiato il colore della pelle, ma esistono ancora.
La mostra è così un contributo per rendere sempre più completo il messaggio che l’esperienza di Barbiana trasmette alle decine e decine di scolaresche e visitatori che ogni anno salgono in quei luoghi.
Quel ‘silenzio’ depositario di una cultura non scritta, che si tramanda di generazione in generazione e che non emerge mai, dato che gli ultimi non scrivono libri, non fanno convegni non tengono conferenze.
A Barbiana quel silenzio si è fatto voce.
Ha fatto emergere quella formazione intellettuale capace di parlare tanto forte che, dopo 40 anni, continua a muovere, a commuovere, ad esaltare o a urtare.
La cura e l’allestimento del percorso fotografico vogliono avere una valenza didattica e divulgativa, senza caricature estetiche, in coerenza con gli spazi semplici e ridotti da cui è partito (la saletta espositiva della permanente di Barbiana è l’ex fucina in cui i ragazzi imparavano a lavorare con il ferro), lontani dai consueti ampi spazi museali, concepito per raggiungere, dato il suo essere in itinere, scuole, quartieri, spazi d’incontro, teatri, università.
La passione per un progetto incondizionato e la forza disarmante di un credo proprio, lo spirito con cui soffermarsi davanti alle foto e leggerne i pensieri.
SCANZONATO, ORGOGLIOSO, CURIOSO DEL VIVERE
LA RICERCA DI LORENZO MILANI, DA BRERA A BARBIANA
di Matteo Renzi, Presidente della Provincia di Firenze
L’attività artistica di don Lorenzo Milani (1923-1967) potrebbe sembrare circoscritta agli anni della sua adolescenza. In un certo senso è vero: concluso il liceo Berchet a Milano, rifiutò di iscriversi all’università a favore, invece, dell’apprendimento della pittura. Il professor Giorgio Pasquali, allora, presentò alla famiglia Milani Hans Joachin Staude (1904-1973), pittore che dopo un’immersione nell’espressionismo si era poi dedicato all’osservazione della natura e quindi si era avvicinato all’impressionismo. Nel ’41 Lorenzo Milani si iscrisse all’Accademia di Brera e affittò uno studio di pittore. Sono gli anni in cui si firma “Lorenzino Dio e pittore”, in cui emergono i tratti di un carattere scanzonato e orgoglioso, ma anche di ricerca, attraverso le arti figurative, di quel senso sacrale della vita che Staude aveva indicato al futuro priore di Barbiana.
Nel luglio ’73 Alice Weiss, madre di Milani, scrive a Renate Staude, moglie del maestro di pittura del giovane Lorenzo, rimasta da poco vedova. “…Penso molto a Lorenzo – scrive Alice – che in Staude ha avuto il suo primo maestro. Maestro di serietà, di coscienza, di quella ricerca dell’assoluto nel bene e nel bello che poi ha portato Lorenzo alla sua strada”. E infatti...
Nell’estate del 42 Lorenzo in vacanza nella tenuta di Gigliola, nei pressi di Montespertoli, entra nella cappellina sconsacrata della villa, vi rinviene un messale e lo legge avidamente, rimanendone prima attratto dall’estetica della liturgia (“è più interessante dei sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello”) e poi dai contenuti. E’ una componente essenziale del suo cammino di conversione, con il quale l’attività di pittore finisce. Ma forse alla luce delle ricerche compiute, quest’attività, più che finire, diventa uno degli strumenti dell’attività pastorale di don Lorenzo. Gli studi di disegno e pittura si riveleranno, ad esempio, preziosi nella progettazione delle opere utili all’attività didattica: don Milani non era un dilettante, nemmeno in questo. Pensate al mosaico del ‘Santo scolaro’, realizzato dai suoi ragazzi, sotto la sua direzione, nella chiesa di Sant’Andrea a Barbiana, dove alcuni dei fiori sono stati composti proprio da lui.
Il rovello interiore del priore di Barbiana, una fede che anima una continua curiosità, emerge già negli anni che si collocano tra la pittura e la conversione. Ferdinando Tartaglia (1916-1988), figura particolare di prete e intellettuale cattolico, sospeso a divinis e poi morto in comunione con la chiesa cattolica , nel secondo dopoguerra dette vita a Firenze con Aldo Capitini al Movimento di Religione. I suoi ‘Esercizi di verbo’, recentemente editi da Adelphi, ci restituiscono anche questo ritratto: ‘Di don Milani solo questo ricordo/ che in tempo di guerra nei pomeriggi d’agosto/ fra bombe e strazi/ veniva in via de le Campora da me/ e diceva/ “parliamo del mistero de la Trinità”. Era un seccatore. Ma lo benedico’. Ci fanno bene le “seccature” di don Milani, in tempi di esasperato individualismo. Tornano attuali le sue riflessioni dopo le ubriacature della guerra preventiva. Addirittura “la guerra difensiva non esiste più – era la sua tesi – Non esiste più una guerra giusta né per la Chiesa né per la Costituzione”.
La mostra fotografica che inauguriamo in Palazzo Medici Riccardi è un omaggio alla sua storia, a un modo corale di vivere avendo a cuore le sorti di tutti, la grande lezione per cui “sortire insieme dai problemi è la politica, da soli è egoismo”. Tra i pannelli fotografici trovano spazio – ed è questa una particolare caratteristica che abbiamo voluto dare all’evento – un quadro del pittore Lorenzo Milani e quattro disegni anatomici. Michele Gesualdi, suo allievo, custodisce alcune tele e diversi disegni di studio con annotazioni del futuro priore: apriamo così la strada all’esplorazione e all’analisi di un capitolo della vita di don Milani che merita di essere storicizzato e verificato con rigore, perché rende conto della sua ricchezza interiore e culturale.
DALL’ESTETICA DEL MESSALE ALLA SCOPERTA DELLA FEDE
DON MILANI E IL DISEGNO DELL’ANIMA
di Michele Brancale
Arrivato in Germania a migliorare l’apprendimento della lingua tedesca lavorando, Michele Gesualdi, uno dei primi sei allievi di don Lorenzo Milani (1923-1967) alla scuola di Barbiana, cominciò a mandare richieste di impiego alle grandi fabbriche. Fu convocato alla Mercedes, per un colloquio e una non meglio specificata “prova”. “Tremavo – ricorda – Avrei dovuto mostrare non solo di capire bene la lingua, ma soprattutto di sapere lavorare alla progettazione delle auto”. Il commissario parò con lui e poi gli chiese: “Disegni una biella”. “Mi rasserenai subito – racconta Gesualdi – Di bielle ne avevo disegnate tante a Barbiana, potevo farle a occhi chiusi”. E così fu assunto. E’ solo un esempio di come l’arte del disegno, appresa da don Lorenzo Milani nei circa due anni di velleità pittoriche tra Milano e Firenze (1941-1943), col tempo sia diventato uno strumento al servizio della pastorale del priore. I due anni e mezzo che chiudono i suoi vent’anni, altrove definiti nel loro complesso “il tempo delle temebre”, non vanno banalizzati. La fede è un mistero, per tutti. La conversione non è subitanea, ma un processo in cui entrano in relazione col tempo diversi fattori. L’arte figurativa, in don Milani, che abbraccerà a 21 anni il cammino del sacerdozio, gioca a questo riguardo un ruolo non secondario (accanto a una sensibilità non sporadica ai poveri, anche nell’adolescenza, e al difficile confronto con i barnabiti che lo provocava alla fede, durante i suoi studi a Milano nei loro istituti). Il tema dell’arte in don Milani è tutto da classificare e storicizzare con un po’ di rigore. Di disegni e quadri di don Milani si parla in biografie e anche nelle sue lettere, ma un lavoro sistematico di riordino dei materiali, dispersi, e di riflessione a riguardo, manca ancora. Avvia questo percorso la prima “personale” del priore, allestita con un quadro e quattro disegni anatomici, che si aprirà all’interno di una mostra fotografica, ‘Barbiana: il silenzio diventa voce’ (29 gennaio- 8 febbraio), curata da Sandra Gesualdi e allestita su iniziativa del Presidente della Fondazione Don Milani Michele Gesualdi e del Presidente della Provincia Matteo Renzi, con il contributo del Comune di Firenze, in via Cavour, nella Galleria via Larga, a circa cinquanta metri da Palazzo Medici Riccardi, davanti al quale “Lorenzino dio e pittore” (così si firmava) incontrò per la prima volta, nella prima parte del ’43, don Raffaele Bensi, suo maestro spirituale, che ne sigillò la conversione e l’entrata in seminario.
Conclusi gli studi, nel maggio ’41, al liceo Berchet di Milano, Lorenzo Milani aveva rifiutato di iscriversi all’università a favore, invece, dell’apprendimento della pittura. Il professor Giorgio Pasquali, allora, presentò ai suoi genitori (il padre era convinto di trovarsi davanti a una “bambinata”) Hans Joachin Staude (1904-1973), pittore che dopo un’immersione nell’espressionismo si era dedicato all’osservazione della natura e quindi si era avvicinato all’impressionismo. Nell’estate del ’41 va sul lago di Como con la famiglia Staude e segue da vicino il suo maestro, applicandosi con determinazione all’apprendimento della nuova disciplina, ma senza quel tratto personale che Staude avrebbe voluto vedere emergere. Nelle lettere ai suoi amici Tutino e Del Buono, Milani annuncia di voler aprire a settembre a Firenze uno studio- abitazione. E invece rientra da Como a Milano, dove apre uno studio da signori in uno scantinato di piazza Fiume. Resta attratto dalle opere dei pittori Bruno Cassinari (1912-1992) ed Ennio Borlotti (1910-1992) che lasciano un’impronta sui suoi quadri. Nel frattempo Lorenzo Milani si iscrive all’accademia delle Belle Arti di Brera e dando seguito ai suoi interessi di restauratore comincia a frequentare alcune chiese di Milano. L’amicizia con Carla Sborgi da una parte con una compagna di studi pittori a Brera, la triestina Tiziana, di cui parla la madre Alice ma della quale non si conosce l’esatta identità, lo apre a un confronto serrato sul rapporto tra arte e religione. “…un giorno il pittore Funi che era il loro maestro a Brera – srive in una lettera Alice Weiss Milani - passando tra i loro cavalletti aveva ritoccato un disegno di Lorenzo come faceva con gli altri. Lorenzo si è alzato e non rimesso piede a Brera. Si continuavano a vedede nello studio, un sottosuolo che avevamo affittato per lui e poi giravano per Milano. In una chiesa visitata durante questi giri Lorenzo le avrebbe detto: “Io mi farò prete”. Questo nel 41 mentre per noi e per tutti gli studiosi la prima tappa della misteriosa conversioe di Lorenzo è stata l’incontro con Don Bensi nel luglio 43”. In una lettera, per ora smarrita, di Tiziana, vi sarebbe un approfondito ritratto di quello che era Miani dal 41 al 43, tale che quello “noi si considerava una aspirazione verso l’arte… invece era già una ferma volontà di fede religiosa”. I temi religiosi Milani li affronta soprattutto con la ragazza che è innamorata di lui, Carla. Vi è un passaggio decisivo. Tornato in vacanza nella tenuta di famiglia a Gigliola, nel comune di Montespertoli, Milani scopre nella cappellina della villa un messale. Milani inizia a disegnare i cartoni di prova per riaffrescare la cappellina. E’ l’estate del 42. Tornato a Milano, dalle discussioni con lei e dalle visite alle chiese nascono una serie di osservazioni sul rapporto tra arte e liturgia che mette per iscritto e di cui vi sarebbe testimonianza nelle lettere scambiate tra i due. Ma queste lettere devono essere ancora recuperate. A Milano Lorenzo legge gli scritti sull’arte sacra di Le Corbusier (1887-1965), si appassiona all’architettura sacra. Tuttavia, dopo i primi pesanti bombardamenti aerei anglo-americani, tra la fine del ’42 e l’inizio del ’43, chiude lo studio a Milano e torna con la famiglia a Firenze. Continua a dipingere finché un giorno, mentre fa merenda in un vicolo seduto accanto al suo cavalletto, una donna lo rimprovera: “Non si mangia il pane bianco nelle strade dei poveri”.
Assetato sempre più per la scoperta della fede, Milani prenderà un’altra strada. ““Io sono sereno solo quando sono sempre intonato con ogni evenienza – scriverà un giorno alla madre - Cioè quando il mio pensiero o attività non stona con nulla d’altrui che possa accadere. Io smisi di fare il pittore solo per questo. Una sera C. si interessò enormemente alle mie chiacchiere sull’arte e la mattina dopo non gliene interessò più perchè il suo bimbo aveva fatto un po’ di sangue dal naso”.
Dal seminario troverà tempo per tornare a trovare il suo maestro Staude, che tutto era tranne che cattolico (si avvicinerà al buddismo, per apprendere alcune tecniche) e che gli chiede il motivo della sua scelta di farsi prete. “E’ tutta colpa tua – gli rispose - Perché tu mi hai parlato della necessità di cercare sempre l’essenziale, di eliminare i dettagli e di semplificare, di vedere le cose come un’unità dove ogni parte dipende dall’altra. A me non bastava fare tutto questo su un pezzo di carta. Non mi bastava cercare questi rapporti tra i colori. Ho voluto cercarli tra la mia vita e le persone del mondo. E ho preso un’altra strada”. Ma la lezione non andrà persa: “Della sensibilità estetica – scrive Santoni Rugiu - gli rimarrà sempre il gusto per la decorazione degli altari, delle vetrate e degli affreschi e per la combinazione dei colori nell’arredamento della canonica. A Barbiana per i ragazzi organizzò un laboratorio di pittura tale che pareva “d’essere alla Accademia”, tutto compiaciuto perché gli stessi avevano scoperto una tecnica redditizia e economica per fare i colori”. L’arte figurativa era oggetto di lunghe lezioni e di divertimento. Un filmino girato dal Agostino Ammannati mostra una giornata di pittura a Barbiana con i bambini intenti a dipingere, come una festa. In queste occasioni Don Milani passava e dava suggerimenti. In alcune lettere fa alcuni disegni ironizzando sulla sua condizione. Una volta accoglie una carovana di zingari e alla madre disegna nella lettera se stesso mentre celebra la messa nella cappellina con le ruote di ‘Santa Maria degli Zingani’. La lezione di Staude si farà sentire quando con i ragazzi di Barbiana realizzeranno un mosaico per la chiesetta di Sant’Andrea: un ragazzino, col saio francescano, legge un libro che gli copre il volto. Ai suoi piedi vi sono erba e fiori. Quelli fatti dai ragazzi sono molto articolati. “Ma poi venne don Lorenzo – spiega Gesualdi – e ci disse che il tratto doveva essere più essenziali, quasi una spatolata di colore: i fiori fatti da lui si riconoscono benissimo”.
In sintesi: don Milani non assume la liturgia in chiave estetica, ma la bellezza della liturgia lo attrae e ne muove passi importanti di conversione, anche attraverso l’apprendimento della pittura.
L’architetto Giovanni Michelacci, che a Barbiana saliva con una certa frequenza, ricava un bell’insegnamento dall’ars moriendi di don Lorenzo e dal suo funerale, “…questo senso sacro, importante, immenso, che investiva tutto, anche la campagna. Tutto si era fermato in attesa di questo avvenimento. All’ultimo, mi accorsi, che noi presenti, un centinaio di persone, c’eravamo disposti in circolo intorno alla fossa. Un cerchio perfetto. Allora capii la forma della chiesa, quale poteva essere quella nata nei nostri animi. Se ciascuno di noi avesse avuto una pietra, l’avrebbe messa così, come noi, nel nostro stesso posto, costruendo appunto questo grande cerchio”.''