OMSA, LA CRISI RAGGIUNGE MARRADI
A rischio dodici lavoratrici dello stabilimento faentino
La Omsa di Faenza è una presenza storica dell'apparato industriale italiano. Nata 71 anni fa è oggi parte del Gruppo Golden Lady Company di Mantova. Il gruppo ha 3800 dipendenti negli stabilimenti italiani e da anni un impianto in Serbia. A Faenza sono impiegati 348 addetti (320 sono donne, molte delle quali comprese nella fascia d'età tra i 40 e i 50 anni). Dodici di queste lavoratrici abitano a Marradi. La proprietà ha manifestato due anni e mezzo fa l'intenzione di chiudere lo stabilimento romagnolo concentrando l'attività nel mantovano. Tutti i dipendenti sarebbero stati posti in mobilità. "Si è aperta perciò una vertenza lunga, difficile e particolarmente complessa - spiega l'assessore ai Rapporti con il Consiglio provinciale Giovanni Di Fede, rispondendo a una domanda d'attualità di Rifondazione comunista - caratterizzata dal completo utilizzo degli ammortizzatori sociali". Entrambi gli esponenti istituzionali hanno chiesto la permanenza dello stabilimento a Faenza e la salvaguardia dei livelli occupazionali. Circa le posizioni delle parti, l'azienda si è sempre rifiutata di discutere con i sindacati un piano industriale sia a Faenza e che altrove. Dura perciò la reazione dei sindacati e dei lavoratori che, fra l'altro, hanno attuato presidi davanti allo stabilimento per evitare che i macchinari venissero trasferiti. I lavoratori hanno ipotizzato il ricorso allo strumento del Contratto di solidarietà ma la sua attuazione non era possibile né a livello di gruppo né per il sito produttivo faentino. La vertenza è approdato poi al Tavolo del Governo con il coinvolgimento dei ministeri del Lavoro e dello Sviluppo economico.
Il 25 febbraio scorso è stata definita un'ipotesi di accordo tra le parti, con l'indicazione di un percorso, sottoposto ai lavorati che si sono pronunciati in forma referendaria con il 69 per cento di voti favorevoli.
L'iter condiviso prevede da una parte l'accordo vero e proprio per il quale si sta lavorando in questi giorni e che verrà esaminato il prossimo 20 aprile presso il ministero del Lavoro. Quindi richiesta di Cassa integrazione straordinaria per 12 più 12 mesi con strumenti formativi e di politica del lavoro per la ricollocazione dei lavoratori. Prevista anche la formazione di un gruppo di lavoro presso il ministero dello Sviluppo economico tra le parti e le istituzioni locali, per monitorare le iniziative dell'azienda riguardo la riconversione industriale.
I sindacati sono riusciti ad ottenere che la Cassa riguardi tutti i dipendenti, tranne 80 addetti che a rotazione verranno mantenuti in attività in due reparti (tessitura e confezione), fino al 30 giugno di quest'anno. Quest'attività, che potrebbe protrarsi anche oltre il primo semestre del 2010, è propedeutica alla riconversione curata direttamente dal Gruppo o da un acquirente. La riconversione è comunque giudicata difficile e ipotizzata semmai per numeri limitati di occupati.
Per quanto riguarda i macchinari, l'azienda chiede di trasferire o alienare quelli non necessari ai due reparti di tessitura e confezione mentre i sindacati chiedono di non spostarli, dato il rischio di inasprire il confronto.
"Di fatto lo stabilimento Omsa - osserva Andrea Calò di Rifondazione comunista - è soggetto ad una vera e propria delocalizzazione verso i Paesi dell'Est. Purtroppo, per l'ennesima volta, siamo di fronte un'impresa che utilizza la crisi economica strumentalmente per trasferire la produzione verso Paesi che consentono un regime di bassi salari, in deroga ai controlli e con il massimo dei profitti e il minimo di carico fiscale". Calò ritiene "inaccettabile che la crisi venga fatta pagare ai lavoratori per i quali l'assenza di tutele reali si trasforma in precarietà di vita e di lavoro". Perciò "esprimiamo solidarietà alle lavoratrici colpite da questa delocalizzazione e chiediamo che la Commissione provinciale Lavoro sia coinvolta per capire cosa stanno facendo Provincia, Comuni e e Comunità montana per affrontare questa situazione".