L’IRPET PRESENTA I RISULTATI DI UN’INDAGINE SUL LAVORO ATIPICO IN PROVINCIA DI FIRENZE
Coinvolti 1600 individui avviati al lavoro nel 2005 per capire il loro cammino professionale e contrattuale
Gli effetti del lavoro flessibile in provincia di Firenze, vantaggi e criticità, gli sbocchi professionali. Chi riesce a strappare un contratto a tempo indeterminato e chi no. Questi alcuni dei temi trattati nel corso di una ricerca sulle condizioni del lavoro giovanile in provincia di Firenze, compiuta dall’Irpet. I risultati dell’indagine sono stati presentati in conferenza stampa mercoledì 28 luglio dall’Assessore al lavoro della Provincia di Firenze Elisa Simoni, dall’Assessore allo Sviluppo economico della Provincia di Firenze Giacomo Billi, da Michele Beudò, ricercatore Irpet e dal Sindaco del Comune di Incisa Valdarno Fabrizio Giovannoni. Quest’ultimo presenterà la ricerca anche nella odierna riunione del consiglio comunale di Incisa.
L’indagine presenta anche i risultati maturati da una serie di interviste telefoniche effettuate su 1600 persone nel 2009, ed avviate al lavoro quattro anni prima, entrate con differenti condizioni contrattuali (indeterminato, apprendistato, determinato).
La ricerca di Irpet si apre con una panoramica dei dati su Pil e occupazione in Toscana. Nel 2009 si è registrata una caduta del Pil regionale del 5% rispetto al 2008 e una diminuzione delle esportazioni del 14% rispetto all’anno precedente.
La caduta complessiva dell’ “input di lavoro” è del 2,4% tra 2008 e 2009: tale variazione equivale a 35mila unità di lavoro standard full-time (ULA). Da notare che le ULA sono un’unità di misura convenzionale, perciò il numero di persone realmente coinvolte è senza dubbio molto maggiore, anche se difficilmente stimabile con esattezza. I settori più colpiti dalla crisi, nel manifatturiero, sono quelli della moda, della meccanica e dell’artigianato.
Passando allo specifico del territorio provinciale, che ha tradizionalmente un mercato del lavoro dinamico - le previsioni sul Pil non sono confortanti: -4,7% nel 2009, +0,5% nel 2010, +1% nel 2011. Quanto alle ULA: 13mila sono state perse nel 2009 e ulteriori 9mila in meno sono previste nel 2010, mentre nel 2011 si prevede il recupero di 4mila ULA. Il saldo delle ULA perse nel triennio 2008-2010 è di -23mila ULA. Si noti che i lavoratori in CIG sono esclusi da questo conteggio.
L’indagine longitudinale sui lavoratori flessibili in Provincia di Firenze. La ricerca riguarda un campione di 1600 persone rappresentative per età, sesso e condizione contrattuale - interrogate con interviste telefoniche nel corso del 2009 - avviate al lavoro nel 2005 con contratti a tempo determinato (400), apprendistato professionalizzante (400), collaborazione coordinata e continuativa (400), a tempo indeterminato (400; gruppo di controllo). La ricerca aveva l’obiettivo di capire e interpretare la loro situazione, oggi, rispetto ad altri lavoratori con un contratto standard ed analizzare se la flessibilità lavorativa dura nel tempo o se si risolve positivamente. Quali sono i fattori sociali, individuali e ambientali, in grado di facilitare o ostacolare la stabilizzazione occupazionale? L’identikit del lavoratore coinvolto nella ricerca ha meno di 40 anni, è residente nell’area extra cittadina, è diplomato.
Tra le variabili analizzate, anche gli esiti professionali, a distanza di 4 anni dall’avviamento al lavoro: è del 25% la probabilità di essere disoccupato, del 4% di essere inattivo, del 27% di avere un contratto flessibile e del 44% di essere occupato a tempo indeterminato. Tra gli altri dati visibili nella ricerca, anche questi numeri: il 50% degli avviati con contratti flessibili e anche il 31% di chi nel 2005 aveva un contratto “standard”, ha conosciuto un periodo di disoccupazione.
In definitiva, l’indagine mostra una polarizzazione sempre più accentuata tra gli stabilizzati e un gruppo di ‘permanent movers’/disoccupati-inattivi. Risulta insoddisfacente il numero degli stabilizzati e sembra essere debole la formula del contratto di apprendistato. Chi ha un contratto co.co.pro sembra destinato a mantenere una certa continuità nella precarietà. Si conferma nel complesso il fatto che la flessibilità del lavoro sconfini nella classi di età adulte e che la disoccupazione non sia una esclusiva dei precari.