POVERTÀ A FIRENZE - IL RAPPORTO DELLA CARITAS
In un volume tutti i dati raccolti dai centri di ascolto. L’assessore Coniglio: “Questo studio ci fa riscoprire l’opera indispensabile del volontariato sul territorio”
E’ stato presentato stamani a Palazzo Medici Riccardi “Dinamiche di povertà a Firenze”, il nuovo quaderno della collana “Profili Fragili”, che raccoglie i dati dei centri di ascolto della Caritas nel territorio fiorentino dal 2006 ad oggi, con particolare attenzione all’ultimo biennio.
Curato da Annalisa Tonarelli (ricercatore presso il Dipartimento di Scienza della Politica e Sociologia dell’Università di Firenze e coordinatrice dell’Osservatorio Diocesano) il rapporto è stato presentato in una conferenza stampa dalla stessa curatrice, da Alessandro Martini, Direttore della Caritas Diocesana di Firenze e dall’Assessore alle Politiche sociali della Provincia di Firenze Antonella Coniglio.
Mercoledì 1 dicembre alle 17.00, nella Sala Pistelli di Palazzo Medici Riccardi si svolgerà la presentazione ufficiale del rapporto, alla presenza del Presidente della Provincia Andrea Barducci e del Presidente della Caritas, Arcivescovo di Firenze Monsignor Betori. A seguire, alle ore 18.15, alla Galleria Via Larga, verrà inaugurata la mostra fotografica “Profili fragili a Firenze”, allestita in occasione dei 20 anni del centro d’ascolto per stranieri.
“Il rapporto diocesano […]- scrive Alessandro Martini nell’introduzione - rappresenta un documento unico nel suo genere perché strumento sintesi di un fenomeno verificato direttamente dal quotidiano ascolto di tante povertà. Innamorati dell’amore, inevitabilmente non possiamo darci pace incontrando quotidianamente i tanti drammi ed i molteplici volti della sofferenza”.
Attraverso un’analisi e una lettura attente delle informazioni rilevate dai centri d’ascolto diocesani e dai principali centri di servizio della Caritas Diocesana di Firenze nel corso del 2009 e nel primo semestre del 2010, il rapporto consente infatti di evidenziare alcune delle specificità di carattere qualitativo e quantitativo che caratterizzano le persone in condizione di bisogno residenti nel territorio della Diocesi di Firenze. È subito evidente che sta aumentando il numero delle persone ascoltate: ciò, purtroppo, in virtù di un aumento della popolazione in stato di bisogno, ma anche del miglioramento delle capacità d’intercettazione e di lettura del fenomeno dovuto all’allargamento della rete dei centri d’ascolto parrocchiali che collaborano – anche grazie al collegamento internet – con quello Diocesano.
“Questo importante studio realizzato dalla Caritas ci fa riscoprire ancora una volta, anche sul territorio fiorentino, l’attività complessa e indispensabile del volontariato – ha detto l’Assessore provinciale alle Politiche Sociali, Antonella Coniglio – nell’ambito delle azioni di solidarietà il volontariato resta anche per le istituzioni un punto di riferimento al quale, non a caso, l’Unione europea ha deciso di dedicare l’anno 2011, in occasione del 10° anniversario della proclamazione dell'Anno Internazionale del Volontariato da parte delle Nazioni Unite”.
“La rilevazione di ‘nuove fragilità’ non può essere una semplice presa d’atto – ha continuato l’Assessore Coniglio – ma deve spronare tutti i soggetti, pubblici e privati, a confrontarsi con la dimensione del bisogno, personificata nel “qui ed ora”, che non può essere ricondotta ad asettiche teorizzazioni sociologiche, politiche ed economiche”.
Di grande interesse, non solo statistico, i dati contenuti nel rapporto curato da Annalisa Tonarelli. Per quanto riguarda le componenti della popolazione italiana e straniera, quest’ultima resta di gran lunga prevalente, anche se nel corso degli anni si assiste ad un recupero di circa 5 punti percentuali da parte della componente italiana. Riguardo al genere, gli uomini, italiani e stranieri, rappresentano tradizionalmente la quota maggioritaria; ma anche in questo caso, si assiste ad un incremento della componente femminile (di base più consistente tra gli stranieri) da attribuire in modo prioritario all’incremento delle donne italiane che vengono a chiedere un sostegno o orientamento.
“Diverse sono le ragioni per cui ci si rivolge alla Caritas nella speranza di ricevere aiuto” – spiega Annalisa Tonarelli – “Per quanto riguarda gli italiani, la presenza nell’archivio può essere con buona approssimazione considerata il portato di una effettiva situazione individuale o familiare di disagio sul piano economico e/o sociale: dunque, generalizzando, gli italiani che si rivolgono al centro sono “sicuramente poveri” almeno in un’accezione molto larga del termine. Diverso è il discorso per quanto riguarda gli stranieri. Chi arriva, tra gli immigrati, in Italia si trova a vivere situazioni di difficoltà non tanto e non necessariamente riconducibili alla sfera economica: il bisogno può essere legato non tanto al pagare un alloggio ma a trovarne uno; si può aver necessità di una mediazione linguistica per accedere a un servizio; di un primo sostegno sul piano materiale nell’attesa di una sistemazione. Insomma, bisogni e richieste sono, in linea teorica, diversi e potenzialmente toccano più ambiti dimensionali: non necessariamente gli stranieri che si rivolgono ai centri possono essere considerati ‘poveri’. Tener presenti queste differenze risulta utile per enfatizzare diverse strategie di analisi dei dati: nel caso degli italiani diventa più importante comprendere quali siano le caratteristiche di questo universo e come siano cambiate nel tempo; per quanto riguarda gli stranieri, fondamentale risulta leggere le condizioni di vita e le modalità di rapporto con i centri in relazione alla lunghezza del percorso migratorio, oltre che della nazionalità”.
Percentualmente, tra gli stranieri, prevalgono tre nazionalità: quella rumena, ormai presente da diversi anni come quella peruviana e quella somala, che si è aggiunta nelle ultimissime rilevazioni. Quest’ultima è sempre stata assai numerosa poiché tanti sono i cittadini somali costretti a lasciare il paese, che è oramai da troppi anni attraversato da forti conflitti e, di conseguenza, in condizioni di insicurezza e povertà estrema. Non venivano, però, rilevati in maniera così importante dai Centri d’Ascolto, perché per lo più seguivano il percorso dei “richiedenti asilo” (accoglienza in strutture a loro dedicate e assistenza per le necessità primarie). Purtroppo questo tipo di sostegno non è assolutamente più sufficiente e molti di loro si ritrovano ora senza alloggio e senza alcun tipo di assistenza, se non quella che viene offerta a tutti dalle associazioni di volontariato.
Altre componenti tradizionali come quella albanese e marocchina sono sempre consistenti, anche se con percentuali decisamente più contenute di prima. Da sottolineare come una componente superiore al 60% fosse titolare, al momento del primo ascolto, del permesso di soggiorno.
L’articolazione per macro fasce di età mette in evidenza la maggiore presenza di giovani tra gli stranieri e soprattutto tra gli uomini (49,3%), mentre per gli italiani non è presente alcuna significativa differenza di genere (9,9% gli uomini, 14,2% le donne). Va sottolineato come con l’andare del tempo tenda ad aumentare l’età in cui gli immigrati arrivano in Italia.
Le informazioni relative alla condizione familiare e a quella abitativa mettono in evidenza un dato di grande importanza: in questa dimensione sembra, infatti, prevalere l’importanza della variabile di genere rispetto alla nazionalità. Donne italiane e straniere tendono ad avere condizioni più simili tra loro, per quanto riguarda lo stato civile, la presenza dei figli, ma anche la convivenza ed il tipo di abitazione. Su quest’ultimo aspetto va in linea generale evidenziato come nel corso del tempo si affermi in modo forte, soprattutto tra le donne, la presenza di soggetti che vivono in affitto mentre si riduce, pur rimanendo prerogativa quasi esclusiva degli uomini, la presenza di persone che vivono in condizioni abitative di grande marginalità.
I dati sulla formazione ed il lavoro ci mostrano come, tendenzialmente, coloro che arrivano nel nostro paese abbiano titoli di studio mediamente più elevati anche se, tale divario, nel corso degli anni sembra parzialmente ridursi, sia per un aumento della vulnerabilità anche tra gli italiani “istruiti”, sia per un cambiamento nei flussi migratori. Riguardo agli stranieri è importante rilevare come i dati evidenzino una forte segregazione occupazionale che li vuole, quando in possesso di un lavoro, impegnati entro un numero abbastanza esiguo e generalmente poco qualificato di attività; eppure si tratta di persone che spesso, nel paese di origine, rivestivano posizioni professionali spesso fortemente qualificate. Di tale specializzazione se ne ritrova tuttavia una labile traccia là dove i più qualificati sembrano dirigersi prevalentemente in quelle componenti più “pregiate” del lavoro dequalificato (assistenza anziani, operai) mentre i meno qualificati e i disoccupati sono maggiormente spinti verso la fascia bassa e indifferenziata dei cosiddetti “bad jobs” (cattivi lavori).
I dati relativi alla presa in carico presso i centri evidenziano da un lato una frequentazione più assidua da parte degli italiani rispetto agli stranieri, mentre riguardo alle problematiche ed alle richieste è di nuovo la variabile ‘genere’ a fare da spartiacque. Riguardo alle problematicità predominano, per tutti, quelle relative alla sfera economica, mentre riguardo alle richieste e, quindi agli interventi effettuati, va sottolineata la crescente importanza, accanto all’erogazione di beni ed alimenti, di forme varie di accompagnamento e consulenza.