PADRE SAHARAWI SI DÁ FUOCO PER PROTESTA. BARDUCCI: “ATTO ESTREMO, VOCE DELLA DISPERAZIONE DI UN POPOLO INTERO”
Il Presidente della Provincia di Firenze esprime indignazione e rammarico per il gravissimo stato in cui verte la condizione del popolo saharawi
Un saharawi, Mohamed Lamine, padre di tre figli, si è dato fuoco il 21 gennaio, per protestare contro le difficili condizioni di vita davanti alla prefettura di Smara (Territori occupati), dove aspettava da una settimana una risposta alle sue richieste. Dopo essere stato trasportato all’ospedale di Smara, è stato prelevato dalla polizia marocchina senza aver potuto completare le cure di cui aveva bisogno.
“Questo gesto è scioccante e rappresenta purtroppo con violenta chiarezza lo stato di emergenza in cui verte il Sahara Occidentale - commenta con indignazione e rammarico il Presidente della Provincia di Firenze, Andrea Barducci - . L’atto estremo compiuto da questo padre è la voce della disperazione di un popolo intero, è l’espressione di una sofferenza che dura da anni senza riuscire a trovare una soluzione”. “La Provincia di Firenze prosegue la sua attività di sostegno per sollecitare una reazione, rompere l’intransigenza del governo marocchino e resuscitare l’attenzione pubblica su questa causa, per riconoscere finalmente l’autodeterminazione della repubblica Saharawi”.
La rivolta giovanile nel Maghreb non è partita dalla Tunisia. Il 10 ottobre alcuni giovani saharawi hanno iniziato a costruire l’”accampamento della dignità” a Gdedim Izik, a una decina di km da El Aaiun, la capitale del Sahara Occidentale occupato dal Marocco. Si sono ritrovati in 20.000 a chiedere lavoro e il diritto ad un futuro. L’accampamento è stato smantellato l’8 novembre, il Marocco ha impedito qualsiasi indagine indipendente, il bilancio delle vittime è ancora imprecisato. Le parole d’ordine dei giovani saharawi saranno le stesse dei loro coetanei del Maghreb. È il segno di un malessere che non trova ascolto e risposte. Nel Sahara Occidentale il grido di libertà dei giovani e della popolazione sahawi assume toni ancora più drammatici a causa di un’occupazione militare che dura da 35 anni e la presenza di caschi blu dell’Onu impotenti di fronte alla violazione sistematica dei diritti umani nell’ultima colonia dell’Africa.