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Pergola, Niccolini, Mila Pieralli, Rifredi
Carlo Cecchi ritorna nel ‘suo’ Teatro Niccolini
Con Il lavoro di vivere di Hanoch Levin, regia di Andrée Ruth Shammah, primo testo del drammaturgo israeliano rappresentato in Italia
1 – 5 aprile | Teatro Niccolini di Firenze
(ore 21, sabato ore 19, domenica ore 16:45, riposo lunedì 3 aprile)
Teatro Franco Parenti – Marche Teatro

Carlo Cecchi

IL LAVORO DI VIVERE

di Hanoch Levin
traduzione dall’ebraico Claudia Della Seta
adattamento e regia Andrée Ruth Shammah
e con Fulvia Carotenuto e Massimo Loreto
collaborazione per l’allestimento scenico Gianmaurizio Fercioni
collaborazione per le luci Gigi Saccomandi
collaborazione per i costumi Simona Dondoni
collaborazione per le musiche Michele Tadini

Durata: 1h e 30’, atto unico.


Carlo Cecchi ritorna per la prima volta in quello che fu il ‘suo’ Teatro Niccolini. Lasciatane la direzione, condivisa con il produttore Roberto Toni, nel 1994, l’attore calca dopo più di 20 anni il palcoscenico della rinnovata sala fiorentina di via Ricasoli da sabato 1 a mercoledì 5 aprile con Il lavoro di vivere di Hanoch Levin, regia di Andrée Ruth Shammah. È il primo testo del drammaturgo israeliano rappresentato in Italia.

Lo spettacolo tratta il tema senza tempo dell’amore come antidoto alla solitudine, con accenni da tragedia greca e comici a un tempo. Condividono la scena con Cecchi Fulvia Carotenuto, nel ruolo della moglie, e Massimo Loreto, in quello del loro vicino di casa, per il racconto di una separazione come un duello all’ultimo sangue: tra sarcasmo e disperazione un uomo e una donna si affrontano in una lotta verbale dura e crudele, terribilmente ironica.

Lo spettatore ride di gusto, senza accorgersi che sta ridendo di se stesso.

Una produzione Teatro Franco Parenti – Marche Teatro.


Una commedia crudele e beffarda, dal ritmo secco e sincopato. Il lavoro di vivere del drammaturgo israeliano Hanoch Levin è la storia fra due persone di mezza età, in cui l’amore appare a barlumi folgoranti, in mezzo a un mare di insulti, parole durissime e rimpianti. Il teatro di Levin è irriverente: la poesia si nasconde dentro le situazioni più imbarazzanti, i suoi testi sono una commistione di spiritualità nobile e cruda realtà; dalla critica alla cultura borghese ai contrasti tra carne e spirito, “arte e culo”, perché il meschino sogna di stare sotto il riflesso della luce della felicità altrui. Autore molto poco noto in Italia (poche le messe in scena, mai pubblicato), ha incantato l’attore Carlo Cecchi e la regista Andrée Ruth Shammah, che sul progetto di rappresentarlo si sono trovati a convergere. Al Teatro Niccolini di Firenze da sabato 1 a mercoledì 5 aprile. Una produzione Teatro Franco Parenti – Marche Teatro.

Con questo spettacolo Cecchi ritorna per la prima volta in quello che fu il ‘suo’ Niccolini. La gestione condivisa con il produttore Roberto Toni fu ufficializzata nel luglio del 1980 e il teatro inaugurò nell’ottobre di quell’anno con L’uomo, la bestia e la virtù di Pirandello, un lavoro di repertorio della compagnia Il Granteatro (questo il nome dell’ensemble dell’epoca guidato da Carlo Cecchi). L’ultimo testo da lui diretto e interpretato sul palco fiorentino di via Ricasoli fu nel 1994 Finale di partita di Beckett, che vinse il premio Ubu come miglior spettacolo e miglior regia. A distanza di più di 20 anni l’attore calca nuovamente quel palcoscenico con una pièce altrettanto spietata ed essenziale.

“Com’è successo, ero bambino, tutto il mondo apparecchiato per me, e tutto poi si è sgretolato fra le dita? Una domanda consumata per una risposta consumata. Solo il mio dolore non vuole saperne di consumarsi”. Suona così l’incipit de Il lavoro di vivere. Carlo Cecchi e Fulvia Carotenuto, nel ruolo della moglie, sono i due battaglieri protagonisti, incapaci di amarsi ancora (si sentono ‘scaduti’), affiancati da Massimo Loreto, nel ruolo del loro vicino di casa.

Una notte l’uomo si alza inquieto, s’interroga su chi gli dorma al fianco, fantastica su improbabili fughe con altre donne, poi infierisce sulla moglie, vomita rancori repressi, la butta a terra. Dal nulla spunta un visitatore, un vicino, vuole un’aspirina, forse vuole solo parlare, ma è investito dal rancore dei due. Se ne va, non prima di aver dimostrato che è la paura della solitudine ad averli inchiodati per trent’anni l’uno all’altra, abbandonandoli alla loro amarezza, in una stanza da letto che è quasi un ring.

Con punte di umorismo feroce, Il lavoro di vivere è solo apparentemente lineare, ricco di riferimenti interni, da Pinter a Ionesco, a Bernhard, a Brecht. Dalla miseria esistenziale, però, scaturisce la commedia, in bilico tra sarcasmo e disperata ironia. Sono vite insoddisfatte, deluse dalla distanza fra il sogno e la realtà, le ambizioni e la quotidianità, quelle immaginate da Hanoch Levin: il suo teatro non ha spazio per gli eroi, ma per i perdenti, con una vena poetica che li rende indimenticabili.

Esponente di una cultura molto ricca e piena di innesti, che vanno dal teatro yiddish al cabaret e alla satira, Levin, figlio di sopravvissuti all’Olocausto, è prematuramente scomparso nel 1999 a 56 anni. Oggi è considerato un nume tutelare del teatro israeliano contemporaneo, ai tempi però venne molto contestato per le controverse posizioni che con il suo teatro più politico aveva preso nei confronti del suo Paese. Infatti, è sempre andato contro il trionfalismo israeliano, che obbliga a mettersi in gioco con una matrice ebraica universale, portando tragedia e commedia a sfiorarsi con la tipica ironia della disperazione.

Le parole scorrono violente e graffianti: dopo 30 anni di menzogne, per il marito e la moglie de Il lavoro di vivere è il momento della verità. L’uomo, mediocre e debole, ha l’illusoria speranza di uscire da quella prigione che è il matrimonio. Spera possibile rifarsi una vita altrove, lontano dalla moglie, che per lui è il simbolo del proprio fallimento. E mentre il dramma raggiunge il suo culmine, con tanto di colpo di scena finale, la tragedia trascolora in commedia.

Hanoch Levin dimostra di aver imparato a pieno la lezione di Eduardo De Filippo.


Prezzi

Interi

I° Settore € 24

II° Settore € 20


Ridotti (over 60, under 26, soci UniCoop Firenze martedì e mercoledì, abbonati Teatro della Toscana (Pergola / Teatro Niccolini / Teatro Era), possessori di Teatro della Toscana Card)

I° Settore € 21

II° Settore € 18


Biglietteria di prevendita

Teatro della Pergola

Via della Pergola 30, Firenze

055.0763333 – biglietteria@teatrodellapergola.com

Dal lunedì al sabato: 9.30 / 18.30

Circuito regionale BoxOffice e online https://www.boxol.it/TeatroDellaPergola/it/advertise/il-lavoro-di-vivere/192168.

29/03/2017 18.06
Pergola, Niccolini, Mila Pieralli, Era


 
 


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