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Arcidiocesi di Firenze
Intervento dell’Arcivescovo di Firenze alla giornata conclusiva dell’Assemblea del clero
L'assemblea si è svolta a Lecceto, Casa di spiritualità “Elia Dalla Costa”, il 12 settembre 2018
1. Uno sguardo al contesto sociale
Anno dopo anno ci troviamo a dover prendere atto di come non si attenuino tensioni e lacerazioni che dividono popoli e nazioni. Relazioni e strumenti che hanno reso un tempo più stabile il contesto internazionale sembrano entrare progressivamente in crisi. Ci manca lo sguardo lungimirante di politici che costruivano legami tra i popoli, sia richiamando le esigenze della pace, come il nostro Giorgio La Pira, sia riavvicinando nazioni fino a poco prima in guerra tra loro, come Schumann, Adenauer e De Gasperi, i fondatori dell’Europa, progetto di pace e di unità per un continente prima ancora che intesa economica e commerciale, prospettiva che molti stanno perdendo, travolti dalle logiche dei vantaggi e degli svantaggi.
Al di là delle logiche di schieramento e di potere, di destre e di sinistre, di sovranismi e antipopulismi, ciò che sembra mancare è un’ispirazione alta della politica, che nasca da una visione altrettanto alta del bene comune, che non può corrispondere alla media degli interessi di ceti o paesi contrapposti. E a costruire una visione alta della politica manca, occorre riconoscerlo, l’alimento doveroso che dovrebbe invece venire da una visione dell’uomo e della storia radicata nel Vangelo. Non si tratta di ricercare spazi di potere per il mondo cattolico, ma di far emergere dall’esperienza della fede un contributo di verità e di speranza che possa essere offerto alla considerazione di tutti. Su questo pesa un ripiegamento delle nostre comunità in logiche intraecclesiali, preoccupati come siamo dei numeri sempre in diminuzione nelle nostre assemblee e nelle nostre iniziative, ma poco attenti invece al rapporto tra la fede e la storia, un confronto sempre da rinnovare, da Chiesa “in uscita”.
E nella storia che viviamo, dovremmo essere attenti soprattutto alle forme che assume la violazione della dignità della persona umana. Ne sono strumento anzitutto le guerre, ma anche la povertà endemica, l’insensibilità verso la cura del creato, che è la nostra casa comune, gli attentati alla libertà, in particolare la libertà religiosa: non mi stancherò mai di ricordare come da tanti anni una donna, Asia Bibi, è prigioniera e minacciata di morte in Pakistan a causa di una falsa accusa di blasfemia. Ma la dignità della persona è minacciata anche quando la famiglia non viene adeguatamente custodita e promossa dalla legislazione, il lavoro non viene garantito come ambito imprescindibile della realizzazione di sé, la condizione di età avanzata o di malattia non trova chi se ne faccia carico con premura, così da combattere le scorciatoie dell’abbandono eutanasico.
Per non parlare delle problematiche connesse alle migrazioni dei popoli, fenomeno che ha accompagnato da sempre la storia dell’umanità e ha rappresentato uno dei fattori che ne hanno costruito il volto biologico e culturale, come ha mostrato un grande scienziato che da poco ci ha lasciato, Luigi Luca Cavalli Sforza, cui si deve la dimostrazione dell’infondatezza del concetto di razza. Una lezione da ricordare, mentre si manifestano sempre più anche nel nostro Paese gesti che sanno di razzismo e che si legano a un sentimento di paura verso l’altro che ingigantisce i reali rapporti tra popolazione italiana e stranieri profughi sul nostro territorio. Paure, chiusure, rifiuti allignano anche nelle nostre comunità cattoliche e ci devono far riflettere su come il messaggio di carità che il Signore ci ha consegnato sia davvero vivo tra noi. Non si vogliono e non si debbono sottovalutare i problemi connessi all’accoglienza dei profughi che ci sono e vanno affrontati, ma non ci si può chiudere di fronte al bisogno di chi fugge da guerre e da condizioni di vita inumane, di chi ha subito violenze e efferatezze di ogni genere e che va accolto, accompagnato, integrato, come è doveroso e come ci indicano possibile le esperienze positive che abbiamo potuto sviluppare anche tra noi. Tutto va fatto con correttezza, ovviamente, e per questo la vigilanza è indispensabile, ma i fatti ci dicono che laddove il percorso è attuato con un sostegno che porti all’inserimento sociale, ne guadagnano le persone e le stesse comunità. È la testimonianza che ci viene dalle buone pratiche delle nostre accoglienze.
Fin quando le condizioni di vita nei paesi che sono scenario di guerre, di ingiustizie, di assenza di libertà, di insostenibile indigenza resteranno tali, le migrazioni non si fermeranno. Già lo scorso anno avvertivo che pensare di arginare i fatti con i muri e i divieti è puramente illusorio; crea solo altre sofferenze e sposta i problemi lontano dagli occhi, ma non li elimina. Anche perché chi non è accolto, accompagnato e integrato va poi a finire nell’invisibilità, facile preda delle forze oscure della malavita. Cercare di orientare le migrazioni attraverso politiche di cooperazione e di coordinamento, come i corridoi umanitari, non solo è saggio ma è anche capace di evitare gli esiti più distruttivi, come le morti in mare, e di generare prassi virtuose, con la prudenza che fa i conti con le concrete possibilità. È quello che continueremo a fare nella nostra diocesi. Raccomando alle comunità parrocchiali di sostenere il lavoro che viene svolto nelle strutture che fanno capo alla nostra Caritas, come pure di offrire occasioni di integrazione anche per coloro che sono accolti, nel rispetto delle normative, in altre strutture, come so che già lodevolmente viene fatto in alcune parrocchie.
Guardando, infine, alla vita di Firenze come pure degli altri centri della nostra diocesi, ribadisco l’esigenza di creare un tessuto sociale forte, fatto di famiglie e di una rete di risposta ai bisogni primari delle persone, abbandonando la prevalente logica di profitto e di rendita, che intercetta sì il flusso turistico ma svilisce l’immagine stessa del nostro territorio. Nell’omelia della festa di San Giovanni ricordavo come queste siano «problematiche che non hanno soltanto risvolti economici, ma prima ancora valoriali e identitari, di una identità non chiusa, ma dialogica e inclusiva, come nelle nostre migliori tradizioni, e per questo densa di contenuti e di riferimenti alla persona, alla sua dignità, alla socialità e al bene comune. Per aprire orizzonti positivi è chiesta una progettualità che non tema il nuovo, cercando di convergere tutti su decisioni sagge, guidate dalla ricerca del bene della città e del suo futuro. Confrontarsi per condividere dovrebbe essere una regola».

2. Nella vita della Chiesa universale
Volgendo lo sguardo alla situazione ecclesiale, non possiamo fare a meno di cominciare denunciando lo sgomento che ha suscitato in me e ritengo in tutti voi il proditorio attacco sferrato contro il Santo Padre con un dossier, un pamphlet intessuto di mezze verità e tante menzogne, di allusioni oscure e deduzioni senza fondamento, abilmente costruito da chi manipola la comunicazione nei modi e nei tempi per ottenere effetti deleteri contro la verità e il rispetto delle persone, soprattutto ferendo la comunione ecclesiale e la venerazione che si deve verso colui che il Signore ha voluto porre a capo della sua Chiesa.
Non sta a me ovviamente smontare questo castello di calunnie che ha come scopo quello di destabilizzare la Chiesa giungendo a reclamare le dimissioni del Papa, dimenticando che proprio averle invocate le renderebbe impossibili, in quanto il Papa non può dimettersi in forza di una pressione esterna. A me, a tutti noi sta invece rinnovare qui il nostro affetto filiale a Papa Francesco, ribadire ancora una volta la piena adesione al suo magistero e alle sue indicazioni pastorali. Non è questione secondaria, ma essenziale per il nostro essere ministri della Chiesa, come sanno bene i parroci e quanti hanno ricevuto un ufficio ecclesiale e hanno perciò fatto la loro Professione di fede e il Giuramento di fedeltà, in cui non solo hanno confessato le verità della fede ma si sono impegnati ad aderire «con religioso ossequio della volontà e dell’intelletto agli insegnamenti che il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi propongono quando esercitano il loro magistero autentico, sebbene non intendano proclamarli con atto definitivo» e hanno giurato di osservare «con cristiana obbedienza ciò che i sacri Pastori dichiarano come autentici dottori e maestri della fede o stabiliscono come capi della Chiesa». La nostra adesione non è solo con il cuore, dunque, ma anche con l’intelletto e la volontà a ciò che il Papa propone alla Chiesa, per essere in comunione con lui. Ciò implica che si ascolti con costanza e fedeltà l’insegnamento del Papa, non solo quello che egli propone nei documenti ufficiali, ma anche quello con cui quotidianamente commenta la parola di Dio e con cui settimanalmente propone temi di catechesi e interpreta i fatti del mondo.
Quest’anno, poi, il magistero del Papa ci ha offerto un dono speciale nell’Esortazione apostolica sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo Gaudete et exsultate. La santità ci viene proposta dal Papa come un traguardo per tutti, un traguardo che va collocato nel contesto storico che viviamo, per scoprire le modalità con cui oggi essa va ricercata e vissuta. Nell’Esortazione apostolica ciascuno di noi potrà trovare un vero e proprio vademecum per una spiritualità del tempo presente, che ci mette in guardia dalle tentazioni incombenti, a cominciare da quelle ricorrenti dello gnosticismo e del pelagianesimo, per ripercorrere nelle Beatitudini la carta d’identità della santità cristiana, per mostrarne quindi le forme che essa deve rivestire nei nostri giorni, concludendo infine con il duplice richiamo alla vigilanza e al discernimento. Sullo sfondo del documento di Papa Francesco si collocheranno gli incontri di spiritualità del clero proposti dalla FIES in diocesi, a cui vorrei che davvero nessuno manchi, come pure invito tutti e ciascuno a essere presenti alla settimana teologico-pastorale nel mese di gennaio.
Il cammino della Chiesa universale è alla vigilia di un appuntamento significativo, la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che ha come tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale. I nostri giovani vi si sono preparati in particolare con una bella esperienza di cammino insieme sulle vie della fede del nostro territorio, aiutati a riscoprire i luoghi e le figure della nostra storia cristiana e a condividere alcuni momenti là dove si esprime oggi la carità della nostra Chiesa. Al termine hanno vissuto un momento celebrativo a livello regionale a Pistoia e poi l’incontro dei giovani italiani a Roma con Papa Francesco. Ora si tratta di continuare il nostro dialogo con questi e con tutti i giovani, crescendo noi stessi anzitutto nel saper testimoniare e comunicare la fede e nell’accompagnare nel discernimento di un progetto di vita che sia risposta alla chiamata del Signore. I lavori del Sinodo andranno seguiti con attenzione, per raccogliere testimonianze, indicazioni e proposte che possano illuminare il nostro impegno a stare accanto ai giovani. Ringrazio il Centro diocesano di pastorale giovanile per come ha sostenuto questa fase di avvicinamento all’Assemblea del Sinodo dei Vescovi ed esorto tutti noi a raccogliere ancora quanto ci proporrà per valorizzare al meglio gli spunti che l’Assemblea ci offrirà per migliorare il nostro servizio ai giovani e l’apertura di spazi ai giovani nella vita delle nostre comunità.

3. Nella Chiesa fiorentina
Dopo l’omaggio reso alla memoria di don Lorenzo Milani, nel cinquantesimo della morte, e dopo il decreto di riconoscimento delle virtù eroiche del cardinale Elia Dalla Costa, dichiarato quindi Venerabile, il Santo Padre nel mese di luglio di questo anno ha fatto un altro dono alla nostra Chiesa fiorentina, proclamando Venerabile anche Giorgio La Pira. La sua testimonianza e la sua lezione di laico credente, che ha vissuto in modo eroico la vita cristiana in tutte le sue dimensioni, vengono in tal modo riproposte a noi nella loro esemplarità, come un’eredità a cui ispirarsi per trovare un’eco nella nostra comunità, ecclesiale e civile. La venerazione che la Chiesa ci chiede si traduca anche nel rivolgersi nella preghiera all’intercessione del cardinale Elia Dalla Costa e di Giorgio La Pira nelle difficoltà e nelle prove della vita, affinché, se il Signore vorrà, dalla loro intercessione scaturiscano grazie e prodigi che possano essere riconosciuti come miracoli dalla Chiesa e condurre quindi alla loro beatificazione. Auspichiamo anche che non sia lontano il giorno in cui a questi due Venerabili la Chiesa di Firenze possa aggiungere anche altri Servi e Serve di Dio, a cominciare da don Giulio Facibeni. A novembre proporremo di nuovo che le nostre comunità parrocchiali, in occasione della festa della dedicazione della Chiesa cattedrale, offrano momenti di conoscenza di questi testimoni della fede e di invito alla preghiera affidata alla loro intercessione.
I testimoni della fede illuminano il percorso della nostra Chiesa, che ora deve misurarsi con i problemi del nostro tempo, caratterizzato dal prevalere di secolarismo e agnosticismo nella cultura e nella società, dall’indebolimento dei legami sociali, dalla difficoltà a mantenere vive comunità ridotte nelle presenze e in crisi di identità, dai numeri sempre più contratti dei presbiteri al servizio delle comunità nella nostra diocesi. E si potrebbe continuare. C’è il rischio che le difficoltà, diventino preoccupazioni e queste generino sfiducia. Ma la Chiesa non è nelle nostre mani, bensì in quelle del Signore. A noi spetta soltanto di metterci all’ascolto della sua parola e di discernere come essa deve incarnarsi nei nostri tempi.
È questo che ispira il nostro Cammino sinodale che, ricordo, è risposta a un’esortazione di Papa Francesco, che qui a Firenze ha invitato tutta la Chiesa italiana a prendere in mano l’esortazione apostolica Evangelii gaudium per leggere la situazione in cui viviamo e individuare direzioni di rinnovamento dell’azione pastorale in senso missionario. Ci siamo perciò impegnati a leggere con attenzione il testo dell’Evangelii Gaudium attraverso le prospettive tracciate dal discorso del Papa al Convegno ecclesiale nazionale del novembre 2015. In particolare abbiamo inteso ripensare la nostra vita pastorale alla luce delle scelte di fondo che vengono indicate in questo discorso: essere una Chiesa di popolo; condividere l’opzione per i poveri; assumere uno stile di incontro, ascolto e dialogo; essere una Chiesa “inquieta” e “in uscita”. Alla luce di questa lettura vogliamo provare a individuare le emergenze culturali, sociali, pastorali e spirituali del nostro ambiente. In base ad alcune priorità condivise vogliamo cercare di formulare scelte innovative, che permettano di uscire dalle secche di una pastorale di conservazione verso una pastorale di missione.
In questo primo anno non poche comunità hanno risposto a questo invito e hanno avviato momenti di confronto per un processo di discernimento ecclesiale delle situazioni e di orientamento missionario. Raccoglieremo il lavoro fin qui compiuto nelle assemblee zonali, programmate tra fine settembre e fine ottobre. Raccomando a tutti di collaborare a queste assemblee con la presenza e il contributo delle loro comunità. Potremo così confrontarci e valorizzare quanto di positivo è emerso nel cammino fatto, un cammino peraltro non chiuso, ma passibile di ulteriori integrazioni, magari da parte di chi per ora è restato un po’ ai margini. Ricordo, ancora, che a partire dal prossimo anno vorremmo attivare forme di ascolto che intercettino non solo chi frequenta le nostre comunità, ma anche i diversi soggetti sociali del territorio. Infine, vi do appuntamento a domenica 23 settembre in cattedrale per la Celebrazione eucaristica con cui riprenderemo il Cammino sinodale e consegneremo il mandato agli animatori pastorali.
A contrasto con le testimonianze di santità della nostra storia e con il cammino pastorale che tutti ci impegna, dobbiamo però anche riconoscere che la vita della nostra Chiesa è stata seriamente macchiata da un grave crimine di pedofilia, di cui, se le indagini confermeranno quanto emerso dai primi riscontri, si sarebbe reso colpevole un sacerdote non del nostro presbiterio ma che era tra noi da diversi anni, avendo ricevuto un incarico pastorale presso una parrocchia della diocesi. Nel momento in cui si è avuta notizia dei gravissimi fatti contestatigli, mentre ho assicurato piena fiducia nell’operato degli inquirenti e della magistratura, ho manifestato il dolore mio e del presbiterio ed espresso vicinanza alla bambina vittima e alla sua famiglia, sentimenti e atteggiamenti che rinnovo in questo momento, convinto che i fatti, così come contestati, già di per sé gravissimi, qualora confermati dalle indagini, sono resi ancora più intollerabili e sconvolgenti in quanto attribuiti a un sacerdote e sono causa di profondo dolore per chi li ha subiti e costituiscono una ferita aperta per l’intera comunità.
Come affrontare questi momenti lo ha indicato Papa Francesco proprio in quegli stessi giorni con la sua Lettera al popolo di Dio (20 agosto 2018), individuando anzitutto la natura di questi crimini, quando se ne rendono responsabili chierici e persone consacrate, come «abusi sessuali, di potere e di coscienza», atti in cui dunque si incrociano diversi perversi livelli di sopraffazione delle persone fragili. Condividiamo quindi le parole del Papa: «Guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato. Guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi. Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità». Il Papa chiede poi che la Chiesa assuma un atteggiamento di penitenza e di preghiera: «È imprescindibile che come Chiesa possiamo riconoscere e condannare con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione».
Con il Papa ci sentiamo anche impegnati a rimuovere per quanto possibile i presupposti per cui tali fatti criminosi possono ancora accadere nella comunità ecclesiale. La diocesi è impegnata a camminare sulla strada della prevenzione, dell’accompagnamento dei sacerdoti durante il ministero, della sensibilizzazione e vigilanza sul tema. Ne è testimonianza il Congresso europeo che abbiamo organizzato nella nostra Facoltà teologica nel marzo scorso su “Formazione e prevenzione. Confrontare i differenti approcci di formazione umana e valutazione psicologica nei Seminari: un ulteriore passo verso il safeguarding in Europa”. Da alcuni anni, inoltre, i futuri sacerdoti nella nostra diocesi sono seguiti con un puntuale iter di accompagnamento affidato a psicologi e psichiatri. Educazione e formazione, è dimostrato, sono gli strumenti più efficaci per la prevenzione degli abusi. Ci ripromettiamo a breve di studiare e attivare ulteriori progetti di contrasto agli abusi e per la tutela dei minori.
La piaga della pedofilia, con le sue radici patologiche, le gravissime responsabilità morali e gli effetti delittuosi continua a pesare sulla vita della Chiesa universale, come mostrano i ripetuti interventi del Santo Padre, ma anche di quella locale, che torna a piangere per una nuova vittima e a vergognarsi per un altro colpevole. Ci consola però la fedeltà di tanti nostri sacerdoti, la loro dedizione all’educazione delle nuove generazioni, la fiducia che tante famiglie ripongono nelle nostre comunità e nell’azione educativa che lì viene proposta.
La preoccupazione per la qualità del nostro clero inizia dal promuovere la fraternità tra noi, come pure dalla serietà del cammino di preparazione e della sua finalità di discernimento. A tale riguardo segnalo che a partire da ottobre viene istituito nella nostra Arcidiocesi, come in tutta la Toscana, secondo le direttive della nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis pubblicata dalla Santa Sede, un anno propedeutico all’ingresso in seminario. Vorrei anche richiamarvi a una maggiore attenzione alla pastorale vocazionale, in connessione con quella giovanile e familiare: il numero dei nostri seminaristi sta diminuendo ulteriormente e si annunciano anni con nessuna o pochissime ordinazioni presbiterali.
Concludo con l’invito a partecipare numerosi agli Esercizi spirituali che come clero diocesano faremo qui a Lecceto dal 5 al 9 novembre prossimo. È una proposta per alimentare la vita spirituale, ma anche per rafforzare la comunione presbiterale. Ricordo, infine, che in questi giorni prendono avvio le procedure per il rinnovo del Consiglio Presbiterale, a cui raccomando una convinta partecipazione da parte di tutti.

Giuseppe card. Betori
Arcivescovo di Firenze

12/09/2018 15.45
Arcidiocesi di Firenze


 
 


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