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Arcidiocesi di Firenze
Intervento dell'Arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori nella giornata conclusiva dell'Assemblea del clero
L'intervento di mercoledì 11 settembre nella Casa di spiritualità "Elia Dalla Costa" a Lecceto
1. Uno sguardo al contesto sociale
Il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il Card. Gualtiero Bassetti – cui ci legano sentimenti di stima e di affetto, come merita chi è stato membro del nostro presbiterio e oggi ricopre con unanime apprezzamento un ruolo di alta responsabilità nella Chiesa italiana – nei giorni scorsi, nel pieno della crisi governativa che si chiude in questi giorni, ci ha ricordato che «la crisi è di sistema, è di visione, prima che del governo». Condivido questa constatazione, che può costituire un utile orizzonte di lettura della situazione di oggi.
Le difficoltà che attraversiamo a livello senz’altro politico, ma anche di istituzioni, soprattutto di assetti sociali hanno una radice profonda, che tocca il sistema di valori su cui si dovrebbe reggere una società. Un sistema che è andato in frantumi in questi ultimi decenni, dopo aver alimentato il Paese in particolare negli anni della sua rinascita nel dopoguerra. Un sistema a cui la Chiesa cattolica aveva contribuito con il suo patrimonio di principi e soprattutto con la testimonianza e con l’opera di uomini e donne credenti di elevato spessore umano e di fede, come quelli che hanno onorato il cattolicesimo fiorentino nel secolo scorso. A quel patrimonio di elaborazione culturale, di progettualità sociale e di esemplarità dovremmo saper attingere ancora oggi.
L’impegno ci interroga anzitutto come Chiesa. Che cosa le impedisce di assumere anche oggi quel ruolo di formatrice di coscienze che attiene alla sua natura? Probabilmente siamo ancora preda dell’illusione che basti qualche correzione ai nostri abituali modi di fare per continuare a svolgere la nostra missione di promotori di autentica umanità. Non prendiamo sufficientemente sul serio quanto ripete spesso il Papa, che cioè stiamo attraversando non un’epoca di cambiamenti ma un cambiamento d’epoca. Quest’epoca, che ci si presenta piena di enigmi, ci interroga con la sua novità e ci chiede di essere noi stessi protagonisti del cambiamento per non subirlo e restarne vittime, come minacciano i fantasmi del postumanesimo e del transumanesimo, ma come già avvertono i passi incerti che impediscono di trovare soluzioni davvero umane di fronte agli interrogativi dei confini della vita, come pure a quelli dell’accoglienza di chi è fratello nel bisogno, da qualsiasi luogo provenga.
Come dissi lo scorso anno e come sento di ripetere oggi, al di là delle logiche di schieramento e di potere, ciò che sembra mancare è un’ispirazione alta della politica, che nasca da una visione altrettanto alta del bene comune, che non può corrispondere alla media degli interessi contrapposti. A questa visione alta dobbiamo dare il nostro apporto. Non per cercare spazi di potere per il mondo cattolico, ma per far emergere dall’esperienza della fede un contributo di verità e di speranza che possa essere offerto alla considerazione di tutti. Usciamo dalle nostre logiche intraecclesiali e facciamoci maggiormente attenti al rapporto tra la fede e la storia, un confronto sempre da rinnovare, da Chiesa “in uscita”.
L’agenda di questo progetto di vita buona e di società umanizzata ha una sua precisa logica. A fondamento di tutto sta la persona umana nella sua inviolabile dignità e la vita umana nella sua assoluta intangibilità. I confini di questa vita, dal suo concepimento alla sua fine naturale sono frontiere su cui va esercitata la massima protezione, perché ogni cedimento è causa di disastrose conseguenze in tutti gli altri momenti e ambiti dell’esistenza. E qui si apre il campo della protezione e promozione della famiglia fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna, la prospettiva di un lavoro in cui l’uomo e la donna possano realizzare la propria personalità, la premura nel farsi carico dell’età avanzata e di chi soffre nella malattia, lo sviluppo delle aggregazioni sociali intermedie per assicurare nel concreto spazi di libertà, la sicurezza nell’ordine sociale e la protezione dei più deboli, il rispetto delle istituzioni e il loro porsi al servizio dei cittadini, le relazioni e la cooperazione tra i popoli per la promozione e il mantenimento della pace, la custodia del creato come casa comune da salvaguardare nella prospettiva delle future generazioni. Tutto questo viene minacciato da guerre, povertà endemiche, incuria ambientale, attentati alle libertà – in particolare alla libertà religiosa –, insensibilità verso il fenomeno migratorio anche a causa di rigurgiti razzisti favoriti da mancati interventi sul piano dell’integrazione che generano paure e tensioni sociali. Quanto fin qui elencato è più che sufficiente per alimentare un progetto di società equilibrato e coraggioso, attento sia alle istanze personali sia a quelle sociali, un progetto da sostenere con una visione dell’economia meno legata alle sole ragioni del profitto e più attenta alle persone e al futuro.
Per quanto ci concerne poi più da vicino, guardando a Firenze e al suo territorio, non ho nulla da aggiungere a quanto già dissi in occasione della festa di San Giovanni: «La città ha bisogno di sentire la sua chiamata a ricostruire ogni giorno la propria identità. Questo perché la città non è un contenitore immobile di singole vicende, ma un vero e proprio organismo, in cui ciascun membro ha la propria irrinunciabile funzione, in cui ogni cellula contribuisce al benessere dell’intero corpo sociale, in cui l’organismo salva la propria identità attraverso il suo sviluppo, pena il decadimento. A questa immagine di città che vive ciascuno è chiamato a dare il suo contributo, e perché ciò avvenga è essenziale che si salvaguardi lo spazio delle possibilità e delle responsabilità, secondo il principio di sussidiarietà, che salvaguarda le soggettività locali a fronte delle istanze centraliste e valorizza le vitalità della società civile a fronte del ruolo proprio ma limitato delle istituzioni».

2. Nella vita della Chiesa universale
Al centro della vita ecclesiale in questo anno si è collocata l’attenzione al mondo giovanile, prima con la celebrazione nell’ottobre scorso della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, con la XXXIV Giornata Mondiale della Gioventù a Panama (23-28 gennaio 2019), e poi con l’Esortazione apostolica post-sinodale di Papa Francesco ai Giovani e a tutto il Popolo di Dio Christus vivit (25 marzo 2019).
Questa attenzione al mondo dei giovani non va interpretata come una scelta che delimita, anche solo nelle priorità, i soggetti dell’impegno pastorale. Non si tratta di mettere al centro i giovani per mettere ai margini, gli anziani, gli adulti o i fanciulli. Rivolgersi ai giovani significa voler assumere il loro sguardo sulla realtà come la prospettiva in cui collocare tutta la pastorale e i suoi soggetti. Significa fare del futuro e della speranza l’orizzonte su cui formulare progetti pastorali e prima ancora la modalità di costituzione delle relazioni. Guardando ai giovani siamo cioè, in una proiezione temporale, all’interno di quella visione di Chiesa “in uscita” che connota l’intera proposta ecclesiale di Papa Francesco. Prendere sul serio le domande che il mondo giovanile pone alla fede e alla Chiesa significa abbandonare le modalità consuete della vita ecclesiale e accettare di rimettersi in discussione per trovare forme nuove di testimonianza e di servizio. Ascolto, accompagnamento, fraternità, sogni, popolarità, vocazione: sono le parole chiave che il Papa ci consegna nell’Esortazione apostolica e che dobbiamo tradurre nelle forme nuove da dare alla nostra pastorale.
Al Papa siamo grati anche per l’instancabile dedizione con cui vive il suo ministero petrino e che trova particolare espressione nei viaggi apostolici, che negli ultimi dodici mesi hanno toccato in particolare Paesi dell’Est dell’Europa e dell’Africa, come quello che si è appena concluso in Mozambico, Madagascar e Mauritius. Tra questi viaggi di partiocolare rilievo è stato quello che ha visto il Pontefice in Arabia Saudita per un incontro interreligioso, da cui è scaturita una dichiarazione congiunta con il Grande Imam di Al-Azhar, il Documento sulla Fratellanza umana per la Pace mondiale e la Convivenza comune (4 febbraio 2019). Un documento che evidenzia le responsabilità delle religioni, in specie le religioni abramitiche, nel compito «di impegnarsi seriamente per diffondere la cultura della tolleranza, della convivenza e della pace; di intervenire, quanto prima possibile, per fermare lo spargimento di sangue innocente, e di porre fine alle guerre, ai conflitti, al degrado ambientale e al declino culturale e morale che il mondo attualmente vive». Questo compito va perseguito attraverso la promozione dell’esperienza religiosa che per sé stessa porta al dialogo e alla fraternità nel genere umano e rifiuta ogni utilizzazione della fede da parte di estremismi e integralismi per motivare tensioni, divisioni, terrorismo e guerre. La nostra Chiesa fiorentina si sente particolarmente sollecitata da queste prospettive, sulla scia di una storia che ha visto questa città luogo di dialogo ecumenico e interreligioso e di un presente che vede un positivo clima di relazioni tra cattolici, ebrei e islamici, come mostra anche l’istituzione della “Scuola Fiorentina di dialogo interreligioso e interculturale”.
Prosegue l’impegno del Santo Padre nel combattere la piaga degli abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi nella Chiesa – mi riferisco in particolare alla Lettera apostolica Vos estis lux mundi (7 maggio 2019) –, a cui ha corrisposto convintamente la Conferenza Episcopale Italiana con le Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili (24 giugno 2019), in forza delle quali prontamente la nostra diocesi ha istituito il Referente per la tutela dei minori, affiancato da un gruppo qualificato di esperti. Su questo fronte, anche alla luce di tristi fatti che hanno visto protagonista un sacerdote sul nostro territorio e di gravi accuse recentemente avanzate contro un nostro sacerdote, dobbiamo sentirci tutti coinvolti, nell’azione di prevenzione anzitutto, nell’ascolto e nella vicinanza alle vittime, nella ricerca ad ogni costo della verità.
Su questo tema del contrasto agli abusi Papa Francesco ha incentrato anche la lettera che ha rivolto a tutti i sacerdoti del mondo in occasione del 160° anniversario della morte del santo Curato d’Ars (4 agosto 2019). Sono parole che vi invito a meditare e che scaturiscono dal cuore di un Pastore che conosce bene i preti che, come egli scrive, tra stanchezze e fatiche, a volte malattie e desolazioni, assumono «la missione come un servizio a Dio e al suo popolo e, pur con tutte le difficoltà del cammino», scrivono «le pagine più belle della vita sacerdotale». Sono parole che ci supportano e ci confortano, con cui veniamo invitati a vivere con gratitudine il dono della nostra vocazione, con coraggio per superare fatalismo, tristezze e fragilità, con spirito di lode al Signore. Sia questa lettera oggetto di meditazione personale e di confronto fraterno nei Vicariati.

3. Nella Chiesa fiorentina
La vita della diocesi è stata recentemente turbata da una vicenda in cui torna a porsi alla nostra coscienza la problematica degli abusi. Tutto va ancora chiarito, dal momento che per ora sono emerse dalla stampa solo le accuse che la Procura ha recepito, ma su cui deve intervenire ancora la difesa. Anche dal punto di vista canonico siamo all’inizio dell’indagine previa, che dovrà appurare la sussistenza del fumus delicti per la segnalazione alla Congregazione per la Dottrina della Fede, cui spetta dare indicazioni circa i passi da compiere per l’eventuale giudizio. Il contesto che si è creato induce a ribadire l’impegno della Chiesa per la verità e per individuare la via per migliorare le forme della vita pastorale per rimuovere quanto potrebbe favorire l’insorgere di comportamenti inadeguati.
Questi scenari che offuscano il volto di santità della nostra Chiesa non devono però oscurare il cammino quotidiano, fatto di sacrificio e dedizione, del nostro clero e laicato. È quanto continuo a sperimentare nella Visita pastorale, che si avvia verso la sua parte finale. È ormai da più di cinque anni e mezzo che sto visitando i diversi Vicariati e il programma prevede un impegno che dovrebbe continuare per ancora due anni e mezzo. La prossima tappa è il Vicariato di Scandicci, a cui seguirà quello di Antella-Ripoli-Impruneta. Il cammino che sto compiendo svela, accanto a tanto impegno di preti, diaconi e comunità, anche la fatica a intraprendere forme pastorali davvero innovative quali i tempi richiedono, in quella direzione missionaria a cui sollecita il Papa. Diventa poi sempre più evidente che l’attuale articolazione della nostra presenza pastorale sul territorio non sembra poter avere futuro, considerata la tendenza alla diminuzione del clero. L’avvio e l’intensificazione di collaborazioni sono quanto mai necessari per preparare la nuova articolazione delle comunità.
Il volto positivo del nostro presbiterio è stato ulteriormente segnalato dal Santo Padre con la nomina di mons. Andrea Bellandi ad Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno. Gli rinnoviamo gratitudine per quanto ha fatto nell’insegnamento, nella formazione e nella pastorale in genere tra noi e lo accompagniamo con sentimenti di amicizia e con il ricordo nella preghiera per il servizio ecclesiale che ora gli è stato affidato.
Intanto la vita della nostra Chiesa vuole trarre ulteriore slancio dal Cammino sinodale, con cui abbiamo risposto a un’esortazione di Papa Francesco, che qui a Firenze invitò tutta la Chiesa italiana a prendere in mano l’esortazione apostolica Evangelii gaudium per leggere la situazione in cui viviamo e individuare direzioni di rinnovamento dell’azione pastorale in senso missionario. Sono ormai due anni che le nostre comunità si sono impegnate in questa lettura e già alcune indicazioni, di esperienza e di riflessione, hanno arricchito la nostra consapevolezza ecclesiale delle difficoltà e delle potenzialità con cui dobbiamo misurarci.
Così mi piace riassumerle, sulla base dell’intervento che a dicembre scorso ho fatto al Consiglio Pastorale Diocesano:
– la consapevolezza della fatica che comporta leggere il cambiamento culturale epocale in atto, superando l’illusione che si possa fare ancora manutenzione dell’esistente;
– i problemi legati alla frammentarietà dei soggetti ecclesiali sul nostro territorio;
– la necessità di non creare modelli rigidi, per non penalizzare la diversità e la creatività, ma al contempo la difficoltà a individuare cammini propri a partire dalla realtà vissuta;
– il bisogno di fare il passaggio da una pastorale di strutture e iniziative a un approccio più relazionale, di vicinanza e di testimonianza;
– la positiva esperienza di presenza nell’ambito caritativo e il rischio che non si riesca a oltrepassare la soglia della solidarietà per entrare in un’ottica di evangelizzazione.
Nello stesso intervento ribadivo che i criteri per pensare a una testimonianza ecclesiale che prenda sul serio il cambiamento d’epoca non possono che essere quelli stessi che Papa Francesco propone nella Evangelii gaudium: il tempo è superiore allo spazio; l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea; il tutto è superiore alla parte (nn. 222-237),
E concludevo con queste sollecitazioni:
• il nostro scopo non è attirare il mondo nella Chiesa, ma portare la Chiesa nel mondo come principio vivificante di esso, come lievito e luce;
• dobbiamo assumere lo sguardo e il cuore del seminatore che sparge il seme su tutti i terreni, senza pretendere per forza i frutti;
• per questo abbiamo bisogno di coltivare un atteggiamento di ascolto, di dialogo, di servizio, creando occasioni di confronto e di compagnia;
• tutto questo nella convinzione che lo Spirito soffia dove vuole e va atteso ovunque.
Ora ci attende il secondo tempo del nostro Cammino, quello in cui aprire un dialogo con quanti nella società hanno a cuore le sorti dell’uomo e possono aiutarci a comprendere meglio quale contributo il mondo si attende dalla Chiesa e la Chiesa sente di dover offrire al mondo. Vi chiedo di attivare forme di ascolto che intercettino non solo chi frequenta la nostre comunità, ma tutti i diversi soggetti sociali del territorio. Un momento qualificante del nostro itinerario sarà un evento diocesano che verrà proposto per il 10 novembre, a cui chiedo la massima attenzione. Inoltre nei prossimi mesi l’ascolto dell’esortazione del Papa sarà aiutata dalla presenza di una mostra sulla sua figura e il suo messaggio che viaggerà nel territorio della diocesi.
Nel concludere raccomando di curare entro il mese di settembre il rinnovo dei Consigli Pastorali nelle parrocchie e nei vicariati, così da formare il nuovo Consiglio Pastorale Diocesano nei termini prefissati.
Infine, vi do appuntamento a domenica 6 ottobre per la Celebrazione eucaristica con cui riprenderemo il Cammino sinodale e consegneremo il mandato agli animatori pastorali, una celebrazione che sarà arricchita della memoria del B. Ippolito Galantini, di cui quest’anno ricorre il quattrocentesimo anniversario della morte, apostolo della fede. Lui e tutti nostri Santi e Beati ci custodiscano, insieme alla Beata Vergine Maria Annunziata.

11/09/2019 14.44
Arcidiocesi di Firenze


 
 


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