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Redazione di Met
Pasqua nella Chiesa di Firenze. Betori: "Squarcio di speranza in questi giorni di guerra"
L'arcivescovo alla liturgia in cattedrale: "L’insegnamento di Gesù progetto affascinante di vita, capace di mostrare quanto pericolosi siano i disegni umani di potere e di possesso e quanto vuoti siano i modelli umani di libertà senza valori e di autosufficienza inappagata"
Il Card Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, ha celebrato questa notte la liturgia della Pasqua nella cattedrale di Santa Maria del Fiore, durante la quale sono state battezzate sei persone. Nella mattinata di domenica 17 aprile celebrata la liturgia, con lo Scoppio del carro. Di seguito il testo della sue omelie.

"L’annuncio che i due uomini rivestiti di un abito sfolgorante fanno alle donne impaurite, preda dello sconcerto di fronte al sepolcro trovato vuoto, è la parola destinata a nutrire la speranza dell’uomo nel travagliato cammino della storia. Di fronte al male del mondo, che tre giorni prima aveva raggiunto il suo vertice nella Croce su cui era stato giustiziato il Figlio di Dio, a quelle donne, all’umanità intera, a ciascuno di noi viene detto: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto» (Lc 24,5b-6a). Alle donne non viene donato l’incontro con la persona di Gesù risorto. Tutto è ancora affidato al segno del sepolcro vuoto e alle parole che ne danno la spiegazione, richiamandosi a quanto era stato detto dallo stesso Gesù: «Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea e diceva: “Bisogna che il Figlio dell’uomo sia consegnato in mano ai peccatori, sia crocifisso e risorga il terzo giorno”» (Lc 24,6b-7).
Chi è fedele all’insegnamento di Gesù non può aver dimenticato queste parole, il cui ricordo rende credibili quelle che ora sono pronunciate in quel sepolcro vuoto e spingono le donne a farsene annunciatrici agli apostoli. Vengono circondate da scetticismo e disprezzo. Ma questo non basta a soffocare del tutto la curiosità, almeno in Pietro. Egli corre al sepolcro e vede che sono rimasti in quel luogo solo i teli ma non c’è più il corpo di Gesù che ne era avvolto. Questo non basta ancora per far nascere la fede, ma già l’animo dell’apostolo si apre allo stupore, la disposizione dell’animo che crea lo spazio per la fede. Il mistero della risurrezione fa i suoi primi passi nel cuore di chi aveva seguito Gesù, scommettendo sulla sua parola e ora è invitato a scommettere sul suo potere di vittoria sulla morte.
Che l’insegnamento di Gesù sia un progetto affascinante di vita, capace di mostrare quanto pericolosi siano i disegni umani di potere e di possesso e quanto vuoti siano i modelli umani di libertà senza valori e di autosufficienza inappagata, lo dicono a noi questi fratelli e sorelle che in questa notte chiedono alla Chiesa di essere accolti nella sua comunione, per diventare fratelli e sorelle di Gesù e nostri. Ma non basta un progetto di vita, che non riusciremmo mai ad attuare con assoluta fedeltà e in pienezza. Il Vangelo di Gesù non è una proposta di etica superiore. Il discorso della montagna resterebbe un ideale astratto, impossibile, se non fosse accompagnato dall’annuncio di questa Veglia, che cioè Gesù ha il potere di sconfiggere la morte e noi possiamo partecipare a questa vittoria e vincere anche noi le manifestazioni del male che assediano la nostra vita personale e sociale, fino ad aprirci le porte della vita eterna. Questo la Chiesa dona nel Battesimo: unirsi a Cristo per morire con lui e con lui rinascere in novità di vita. Ci ha detto san Paolo: «Per mezzo del battesimo siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova» (Rm 6,4).
L’annuncio di vita nuova, che la risurrezione di Cristo porta con sé, offre all’umanità uno squarcio di speranza nelle tenebre del nostro tempo. Ne sentiamo particolare bisogno in questi giorni di guerra, in cui sembra che ogni strada umana per il ristabilimento della giustizia e della pace sia preclusa. Una strada d’uscita dell’umanità dalle sue contraddizioni c’è, ed è la strada indicata da Gesù, quella del dono di sé, dei servi fatti amici, dei lontani che si riscoprono fratelli. La notte della Pasqua è illuminata dalla luce del Risorto e ad essa abbiamo affidato la nostra fede e la nostra lode nel Preconio pasquale: «Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro. […] Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace». Per chi accoglie Gesù la pace è possibile.
La notte della morte, delle tante ingiusti morti di questi giorni non è l’ultima parola sulla storia umana. Ne va denunciata la fonte da cui scaturisce e che la alimenta, cioè il cuore malvagio dell’uomo. Lo ha scritto recentemente Papa Francesco, riferendosi proprio alla guerra in Ucraina: «Ogni guerra rappresenta non soltanto una sconfitta della politica, ma anche una resa vergognosa di fronte alle forze del male».
Nella notte del dolore può maturare la luce di una vita nuova, se quel dolore viene unito alle sofferenze di Cristo sulla croce per essere uniti alla gloria della sua risurrezione. Ascoltiamo ancora san Paolo: «Se infatti siamo stati intimamente uniti a lui a somiglianza della sua morte, lo saremo anche a somiglianza della sua risurrezione. […] Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui» (Rm 6,5.8).
Sia questa la nostra Pasqua, risurrezione della vita nell’amore e nella pace".

Omelia nel giorno di Pasqua

"Lo Scoppio del Carro, che dà forma propria alla Pasqua fiorentina, è tornato in tutto il suo splendore e con la piena partecipazione del popolo. Ne siamo lieti perché questo ritorno indica una minore pressione della pandemia che da oltre due anni grava sulla nostra città, come sul Paese e sul mondo: un’attenuazione degli effetti della diffusione del virus, ma non ancora la sua scomparsa. Resti alta pertanto l’attenzione nell’osservare le norme precauzionali indicate da chi ha responsabilità nel governo della salute pubblica. Non va infatti dimenticato che il relativo miglioramento della situazione è frutto di tanti sacrifici, in particolare di chi opera nel sistema sanitario, e di comportamenti solidali che ci hanno tutti coinvolti, consapevoli che da questa crisi, come da tutte le crisi, se ne esce solo insieme, con ragionevolezza, responsabilità e spirito di condivisione. Vale poi ancora il monito del Santo Padre: «Peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi» (Omelia alla Santa Messa nella solennità di Pentecoste, 31 maggio 2020). Il patrimonio di compassione, di solidarietà, di sacrifici accumulato in questi anni non va disperso e deve tradursi in una conversione dei nostri comportamenti e della forma stessa degli assetti sociali e dei sistemi economici nell’ordine di una maggiore condivisione e attenzione ai deboli. Ma l’esperienza di questi anni è stata anche fondamentale per togliere il velo a molte ipocrisie, a smascherare molte falsità, a riportare lo sguardo sull’essenziale della vita e sulla sua verità.
Permettete allora che inviti tutti noi a fare questo tragitto verso l’essenziale e verso la verità anche nei riguardi del nostro Carro pasquale. Torniamo a contemplarlo nel suo festoso splendore ma con occhi rinnovati, con uno sguardo che ne colga il significato profondo, quello che non lo confonde con un qualsiasi evento folkloristico e lo segnala come un gesto di fede cristiana e di identità cittadina. Il fuoco che fa ardere il Carro di luci non è infatti un qualsiasi fuoco, ma il fuoco che, nella Veglia di questa notte, ha acceso il Cero pasquale, simbolo di Cristo stesso. La luce che il Carro irradia sulla città è un gesto che ripropone, in forma diversa, la consegna del fuoco nuovo della Pasqua a ciascuna casa, come accadeva a Pasqua a Gerusalemme e come fu ripetuto per alcuni secoli anche tra noi. Quella che facciamo brillare per tutti non è una qualsiasi luce prodotta da un qualsiasi fuoco. Il nostro non è uno spettacolo, uno spettacolo di fuochi, di scoppi e di bagliori, ma un’espressione di fede, che ribadisce come Cristo sia la luce della nostra vita e mostra come la città tutta – credenti e non credenti – possa attingere da lui e dal suo Vangelo l’orizzonte verso cui porre i suoi passi.
Abbiamo cantato questa notte: «La notte splenderà come il giorno, e sarà fonte di luce per la mia delizia. Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. Dissipa l’odio, piega la durezza dei potenti, promuove la concordia e la pace». Sono parole che ci fanno comprendere che lasciarci illuminare da Cristo, da lui che è luce del mondo, può cambiare il volto del mondo e ricondurlo a concordia, fraternità e pace. Ne abbiamo bisogno in questi giorni segnati da odio e disprezzo, da ingiusta aggressione, da immane violenza, in specie nella terra di Ucraina. La pace è possibile, c’è una via che conduce alla pace ed è il sentiero tracciato da Gesù con la sua parola, con i suoi gesti di compassione e misericordia, con il dono di sé sulla croce.
Questo mistero d’amore – ci ha detto Pietro nel testo degli Atti degli apostoli – si pone come un giudizio sulla malvagità umana e al tempo stesso si offre come un percorso di redenzione. Lasciamoci sorprendere dalla forza dell’amore, come le donne al sepolcro. Nella luce del primo mattino vanno al sepolcro di Gesù per un gesto di pietà verso il suo corpo e ai loro cuori compassionevoli viene offerto nel segno del sepolcro vuoto e nelle parole di due uomini avvolti di luce l’annuncio della risurrezione di Cristo, di come l’amore ha vinto la morte. La morte, il male, la guerra non sono mostri invincibili: «Morte e Vita si sono affrontate in un prodigioso duello. Il Signore della vita era morto; ma ora, vivo, trionfa. […] Cristo mia speranza, è risorto».
L’Ucraina, la nostra Europa, il mondo invoca la vita e la pace e chiede come poterla sperare. Non sono le armi a poterla garantire, non sono gli equilibri geopolitici a poterla disegnare, non è la prepotenza o al contrario la paura a poterla favorire. La pace e un vita umana degna, per ciascun uomo e donna e per i popoli, può scaturire solo da cuori convertiti all’amore. Per questo il cammino da fare in questi giorni è anzitutto un cammino spirituale, in cui l’odio viene sconfitto dal riconoscimento dell’umanità dell’altro, secondo giustizia e libertà, nella fraternità che scaturisce dal confessare un unico Padre, il Creatore di tutti, e il medesimo fratello, Gesù Cristo, sacrificatosi per noi. Non è vero che la pace è impossibile. Essa è nelle mani di chi ama il mondo come il Padre e ama ciascuno di noi come ha fatto Gesù.
Dobbiamo e possiamo fare dell’umanità una «pasta nuova», che si lascia plasmare da sentimenti e atteggiamenti «di sincerità e verità» (1Cor 5,7.8), togliendo via dai cuori il «lievito vecchio, […] lievito di malizia e di perversità» (1Cor 5,8). E questo è possibile in quanto « Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato!» (1Cor 5,7), e nel dono di sé ha posto le premesse della sua e nostra risurrezione. Scriveva Giorgio La Pira: «Se Cristo è realmente risorto – come lo è –, se la sua resurrezione gloriosa, pur essendo celeste, è anche terrena, la conseguenza è ineluttabile: gli eventi umani si collocano attorno a Lui – come attorno al loro centro – e si misurano con la forza divina di Lui». Il traguardo della storia non è il dominio degli uni sugli altri, la sopraffazione e la violenza lacerante tra i popoli, ma la loro unità nel regno di Dio. Questa certezza illumina i nostri cuori anche nelle tenebre del presente e orienta i nostri sforzi di pace, come comunione di figli di un unico Padre. Non si vince con la morte dei fratelli, ma in una ritrovata e giusta fraternità riconciliata.
La luce di Cristo, che irradia dal nostro Carro, penetri i nostri cuori e i cuori di tutti, li trasformi con il suo amore per dare vita a un mondo di pace, aperto alla speranza. Sia questa la nostra Pasqua".

17/04/2022 9.24
Redazione di Met


 
 


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