Login

MET



Controlli voce Chiudi controlli
: Volume:  1 Velocità  1 Tono:  1
Redazione di Met
Chiesa di Firenze. Il giovedì santo
Le omelie pronunciate dal card. Giuseppe Betori durante le celebrazioni
Di seguito i testi delle omelie delle celebrazioni del Giovedì Santo, dell'Arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori. L'omelia della mattina per la Messa del Crisma, in cui sono stati ricordati i sacerdoti che quest'anno celebrano il loro Giubileo sacerdotale, e l'omelia del pomeriggio per la Messa in "cena Domini".

Messa Crismale.
All'inizio della celebrazione.

"Nella Messa Crismale il rinnovo delle promesse sacerdotali pone al centro della preghiera della comunità i preti e il loro ministero, nel legame con la missione messianica di Cristo. Questo è giorno di gratitudine per il dono ricevuto come presbiteri e di ribadito impegno nell’esercizio fedele e generoso del ministero per i nostri fratelli e sorelle.
Grazie, dunque, a voi tutti sacerdoti presenti stamane in cattedrale. Un grazie particolare al card. Ernest Simoni, sempre con noi nei momenti più importanti della vita della nostra Chiesa, offrendoci con la sua presenza la propria alta testimonianza di fede.
Un particolare posto nel nostro cuore oggi lo riserviamo a coloro che celebrano la ricorrenza giubilare dell’ordinazione.
Celebrano quest’anno il venticinquesimo di sacerdozio i presbiteri diocesani d. Antony BASCAL SELVA CRUZ, d. Francesco CHILLERI, d. Daniel DIAC, d. Roberto FALORSI, d. Alessandro LOMBARDI, d. James SAVARIRAJAN, d. Robert SWIDERSKI, d. Paolo RADICE della Comunità dei figli di Dio, a cui si uniscono, tra gli appartenenti a istituti di vita consacrata o società di vita apostolica, p. Massimo ANGHINONI e p. Maurizio GABELLINI dei Servi di Maria, p. Dieudonné DIPAMA Camilliano, p. Mario SCALICI dei Missionari del Sacro Cuore di Gesù.
È il cinquantesimo di sacerdozio per d. Attilio BELLADELLI e d. Alessandro GUIDOTTI, nonché per d. Rosario PIRRELLO della diocesi di Piazza Armerina, p. Alberto MANUNZA degli Oblati di S. Giuseppe e p. Stefano BALDINI ORLANDINI Frate Minore Cappuccino.
Compiono sessant’anni di sacerdozio p. Antonio SIMONETTI e p. Riccardo TAPINASSI, ambedue Frati Minori Cappuccini.
Sessantacinque sono gli anni di sacerdozio di p. Gabriele ALESSANDRINI dei Servi di Maria.
Infine, celebra il settantesimo di sacerdozio d. Carlo DELLI.
Vogliamo anche ricordare i giubilei dei diaconi permanenti: il venticinquesimo di Nicola Francesco BERLOCO e il ventesimo di Giuseppe AIELLO, Roberto BERTI e Patrizio FABBRI FERRI.
Ci uniamo a tutti questi confratelli con gratitudine, augurio e preghiera. All’intero presbiterio la gratitudine e l’esortazione a portare avanti con fedeltà il servizio che ci chiede il popolo di Dio.
Per tutti noi qui presenti giunge ora l’invito della liturgia a chiedere perdono per fragilità e peccati, affidandoci alla misericordia del Padre.


Omelia

Al centro della Messa Crismale è posta l’unzione messianica di Gesù, di cui egli ci parla nella sinagoga di Nazaret, applicando a sé il testo del libro di Isaia: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19; cfr. Is 61,1-2a). Gesù si rivela come il Messia atteso, consacrato per portare consolazione e gioia all’umanità segnata da profonde e molteplici fragilità.
La promessa del profeta diventa realtà, accade nell’«oggi» della parola di Gesù (Lc 4,21): in lui la salvezza è venuta ad abitare la storia del mondo, immettendo in essa un principio di redenzione capace di liberarla da limiti e contraddizioni.
Quest’orizzonte di salvezza viene ulteriormente illuminato dalla pagina dell’Apocalisse, dove Gesù Cristo è qualificato come «il testimone fedele, il primogenito dei morti e il sovrano dei re della terra» (Ap 1,5). Questo è il regno che il Messia ci dona, luce sul mistero di Dio e dell’uomo, sorgente di vita che vince la morte; il suo potere salvifico raggiunge i confini della terra.
L’unzione dello Spirito non si ferma alla persona di Gesù, ma viene comunicata a chi si mette alla sua sequela: egli infatti «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Ap 1,6). Chi entra in comunione di vita con Gesù Cristo diventa partecipe della sua regalità e del suo sacerdozio, cioè del suo potere di dare forma al mondo mediante il comandamento dell’amore e di legare le sorti del mondo alla sua sorgente di vita che è Dio Padre. Siamo così ricondotti al senso stesso della testimonianza e del culto come espressioni della fede. E tutto questo per opera dello Spirito, che i sacramenti della Chiesa comunicano lungo il cammino della vita; sacramenti che trovano negli Oli, che oggi vengono benedetti, un segno espressivo della grazia divina.
All’interno del legame tra Cristo, il Messia, l’Unto dallo Spirito del Padre, e il popolo cristiano, cioè la comunione di coloro che sono unti dallo Spirito di Cristo, si pone uno snodo essenziale nell’economia sacramentale: il sacerdozio ministeriale, il servizio reso all’edificazione del popolo di Dio da coloro che vengono unti mediante il sacro Crisma per essere dispensatori dei misteri di Dio, ministri della Parola di salvezza, capi e pastori sul modello di Cristo, ispirati dall’amore per i fratelli, come ricorderemo tra poco rinnovando le promesse sacerdotali.
Come vivere questa missione è illustrato dal significato che la liturgia attribuisce agli Oli sacri nelle preghiere di benedizione.
Così recita la benedizione dell’Olio degli infermi: «O Dio, Padre di consolazione, […] manda dal cielo il tuo Spirito Santo Paraclito su quest’olio, frutto dell’olivo, nutrimento e sollievo del nostro corpo; effondi la tua santa benedizione perché quanti riceveranno l’unzione ottengano conforto nel corpo, nell’anima e nello spirito, e siano liberati da ogni malattia, angoscia e dolore». Si apre davanti a noi lo scenario della sofferenza umana, in particolare quella che tocca il corpo umano e, nelle sue ferite, raggiunge anche lo spirito. Queste sofferenze gravano sui nostri cuori e sulle nostre responsabilità, cominciando dagli eccidi che si stanno consumando nell’aggressione all’Ucraina e che insanguinano tante altre parti del mondo. E di sofferenze sono colmi i nostri occhi, perché la povertà e l’emarginazione che generano ferite sono anche accanto a noi, negli uomini e donne che incontriamo nelle nostre strade o a noi si sono fatti vicini attraverso duri penosi cammini di migrazione. Saremo portatori di unzione per i sofferenti se saremo capaci di presenza, di partecipazione, di cura, di compassione. Sono caratteri essenziali per dare consistenza a quel volto materno di Chiesa, che rischia di essere offuscata quando si riduce la carità a organizzazione di opere buone. Abbiamo bisogno di riconquistare per noi e per i nostri fedeli un cuore tenero, capace di coinvolgersi con i poveri e i sofferenti, che sia un’immagine viva del cuore di Cristo.
Le parole della benedizione dell’Olio di catecumeni aggiungono ulteriori elementi alla nostra missione di strumenti dell’unzione della salvezza per i nostri fratelli e sorelle. Lo fanno invocando per quanti vogliono vivere da cristiani: «energia e vigore […], perché illuminati dalla tua sapienza [o Dio], comprendano più profondamente il Vangelo di Cristo; […] assumano con generosità gli impegni della vita cristiana; fatti degni dell’adozione a figli, gustino la gioia di rinascere e vivere nella tua Chiesa». È così delineato il nostro servizio di accompagnamento fraterno e di guida paterna all’iniziazione e alla vita cristiana di quanti sono affidati al nostro ministero pastorale: educare all’ascolto e alla comprensione della parola di Dio, formare la coscienza secondo i principi morali del Vangelo e orientare nel dare forma concreta all’esercizio delle virtù, offrire una valida esperienza di comunione in una Chiesa in cui si vive la fraternità nel comune riconoscimento della paternità di Dio.
E, infine, la benedizione del Crisma invoca per i discepoli di Gesù il dono dello Spirito, che «li penetri e li santifichi, perché liberi dalla nativa corruzione, e consacrati tempio della tua gloria, spandano il profumo di una vita santa. Si compia in essi il disegno del tuo amore e la loro vita integra e pura sia in tutto conforme alla grande dignità che li riveste come re, sacerdoti e profeti». È qui disegnato il significato della nostra missione, nella sua dimensione battesimale e in quella ministeriale. Già come cristiani siamo chiamati a farci annunciatori della parola di Dio, giudizio e redenzione del mondo, mediatori della lode di Dio a nome dell’umanità tutta, promotori di un impegno storico teso a trasformare il mondo verso la pienezza del regno di Dio. Come ministri della Chiesa, sacerdoti di Cristo, unti dal sacro Crisma, ci è poi chiesto di vivere queste stesse dimensioni come servizio alla comunità, a favore di tutti, agendo in persona Christi.
Dal significato degli Oli che oggi benediciamo attingiamo motivi di riflessione e conversione per il nostro stesso ministero, perché esso sia sempre più vissuto nelle nostre identità personali, facendo di noi segni credibili di Cristo Pastore.
Accompagno queste parole con il mio augurio pasquale e l’auspicio che cresciamo tutti nella fedeltà al Signore, nella comunione tra noi, nel servizio al Vangelo".


Giovedì Santo – Messa “in coena Domini”

"Tra la prima e la seconda lettura della liturgia di questa sera, tra la pagina del libro dell’Esodo e il testo della lettera di Paolo ai Corinzi, si dispiega il passaggio tra la Prima e la Nuova Alleanza, tra la figura e la realtà. La memoria della salvezza di Israele illumina l’evento supremo della salvezza, la morte di Cristo, che egli anticipa nell’ultima sua cena con i discepoli.
Israele, che nella schiavitù in Egitto ha perduto la propria identità e il legame con il suo Dio è immagine della condizione dell’umanità, che mette continuamente in pericolo la propria identità e relazione con Dio. È il mistero del peccato che invoca redenzione e risurrezione, il dono che Gesù viene a portare con la propria Pasqua.
A liberare dal male è un sacrificio. In Egitto, per Israele, è il sacrificio di un agnello, figura di un altro agnello, l’Agnello di Dio, Gesù, che verrà anch’egli sacrificato, messo a morte. La redenzione passa attraverso una perdita di sé, che è un dono di sé, e non, come vorrebbe la logica del mondo, con una presa di possesso, una trasformazione mediante la violenza. Gesù dona sé stesso e ci consegna il suo esempio come un mandato.
Lo fa nella cena con i discepoli prima della Passione, anticipando il significato della sua Croce nei segni del pane e del vino, fatti sua Carne e suo Sangue, in cui si consegna ai discepoli perché facciano questo come memoriale di lui nei secoli a venire: «Fate questo in memoria di me» (1Cor 11,24.25). L’offerta di sé, mistero d’amore di Gesù e programma di vita per chi partecipa alla sua mensa.
Il sangue dell’agnello, posto sullo stipite delle case degli Ebrei li libera dalla morte che incombe sull’Egitto, e un futuro di libertà si apre per loro, che si mettono in cammino nutriti da un cibo condiviso nella comunione familiare, una comunione aperta all’accoglienza del prossimo.
Un mistero di vita, di liberazione e di fraternità vissero gli ebrei nella notte della Pasqua in Egitto e continuarono a celebrare «di generazione in generazione… come rito perenne» (Es 12,14). Un mistero di vita, di liberazione e di fraternità Gesù celebra nella sua Pasqua.
È, questo, un mistero di perenne attualità e di speciale valore in questo nostro tempo, in cui la vita è minacciata in varie forme. La crisi dell’umano assume molti volti nel nostro tempo: distruzione dei rapporti fraterni fino alla guerra che insanguina tante parti del mondo; disprezzo della dignità della persona fino a toccare le condizioni più fragili dell’inizio e della fine della vita; dimenticanza ed emarginazione di chi si trova nella povertà; fragilità indotta da un nichilismo che non pochi ritengono prezzo necessario da pagare per una libertà senza criteri; illusione di poter governare l’identità umana fino a manipolarla nella fluidità dei generi e perfino negarla nel voler dare forma a un mondo post-umano e trans-umano, che indirizzi di pensiero e tendenze artistiche vorrebbero far ritenere nostro inevitabile futuro; e potremmo continuare ancora. Dentro questo contesto prendono forma le scelte che ci negano a Dio e agli altri.
Un tempo, il nostro, in cui incombono pericolose forme di oppressione e di sfruttamento che limitano o violano la libertà di persone e di popoli: le persistenti diseguaglianze sociali che allontanano sempre più individui e popoli ricchi da quanti giacciono nella miseria; il furto di futuro che subiscono le nuove generazioni anche nelle società avanzate, a causa dello squilibrio di diritti e possibilità; le violazioni alla dignità della donna, fino alla violenza omicida; bambini vittime di violenze e abusi; anziani e malati lasciati nella solitudine di fronte alla sofferenza.
E non sono migliori gli scenari sul fronte della fraternità, offesa dagli egoismi eretti a sistema nell’ottica della società degli affari e dei consumi, in cui si coltiva la cultura dello scarto; fraternità lesa dal venir meno della coscienza dei propri doveri verso gli altri, nelle forme di ingiustizie e corruzioni o nella sottovalutazione delle proprie responsabilità; fraternità impoverita dalla consunzione della trama del tessuto sociale, diventato preda di interessi e di profitti; la scelta della guerra come strumento di soluzione dei conflitti tra i popoli con la devastazione di vita di innocenti.
Abbiamo bisogno di far nostro l’annuncio di vita, di liberazione e di fraternità che viene dalla Cena eucaristica, un orizzonte che richiede una conversione, quella che Gesù esemplifica nel gesto narrato dal vangelo di Giovanni: la lavanda dei piedi, farsi servi gli uni degli altri. Un gesto, quello di Gesù, impegnativo, perché il livello di impegno è dato da lui stesso: «Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi» (Gv 13,15). E questo è possibile solo se ci lasciamo lavare da Gesù: solo il suo perdono, la sua misericordia, ci rende capaci di essere misericordiosi, servitori degli altri.
Il rito che celebriamo e che rinnoviamo ogni volta che partecipiamo all’Eucarestia e ci nutriamo di essa implica una novità di vita che impegna. Il rito deve diventare vita. È quello che chiediamo stasera per noi, per la Chiesa e per il mondo".

14/04/2022 20.20
Redazione di Met


 
 


Met -Vai al contenuto