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Diocesi di Firenze
Celebrazione eucaristica in suffragio del Papa emerito Benedetto XVI
L'omelia del Card. Giuseppe Betori nella Cattedrale di Santa Maria del Fiore il 3 gennaio 2023
Cattedrale di S. Maria del Fiore
3 gennaio 2023
Celebrazione eucaristica in suffragio del Papa emerito Benedetto XVI
(1Gv 3,1-2; Sal 26; Gv 14,1-6)


«Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 14,1), sono le parole di Gesù ai discepoli prima della Passione, per prepararli al distacco da lui, che si appresta ad affrontare la Croce. Sono parole che devono orientarci ogni volta che ci troviamo a confrontarci con la morte di una persona a noi cara. Ci aiutano a vivere anche questo momento in cui il Papa emerito Benedetto XVI, a noi assai caro, lascia la scena di questo mondo per entrare nel mistero eterno di Dio. Lo facciamo con affetto profondo e gratitudine intensa, per i tanti motivi per cui la Chiesa e il mondo sono debitori all’“umile lavoratore nella vigna del Signore”, motivi a cui per me si aggiungono l’avermi inviato a questa Sede episcopale fiorentina e l’avermi associato al Collegio Cardinalizio.
«Non sia turbato il vostro cuore» (Gv 14,1): le parole di Gesù non sono una vaga esortazione a non farci sommergere dall’emozione e lasciarci disorientare dall’incertezza. Sono invece un imperativo forte a guardare questo momento non con occhi umani ma con gli occhi della fede: «Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1).
Lo sguardo sulla realtà oltre la morte deve essere necessariamente uno sguardo di fede. E cosa sia la fede, Benedetto XVI lo ha insegnato con ineguagliabile e incisiva chiarezza nella sua prima enciclica: «“Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui” (1Gv 4,16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: “Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto”. Abbiamo creduto all’amore di Dio – così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» (Deus caritas est, 1).
Dall’incontro con Gesù, che dà forma alla vita di ogni discepolo, discende uno sguardo sulla realtà che è lo sguardo stesso del Signore, con cui collocare tutta l’esistenza, nel tempo e nell’eternità, nel mistero d’amore di Dio. Questo è l’insegnamento di quel maestro di verità che è stato Joseph Ratzinger – Benedetto XVI e questa è la testimonianza di vita che egli ci ha lasciato nel suo esemplare servizio alla Chiesa.
Se la fede è incontrare Gesù e quindi stare con lui, questa comunione non può essere spezzata dalla morte, per cui siamo pronti ad accogliere le successive parole del Signore: «Verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi» (Gv 1,3). La fede ci rende certi che nell’ora della morte Gesù è venuto nella vita di Joseph Ratzinger, che gli è stato sempre fedele, e lo ha preso perché ora sia sempre dove è lui, nel posto preparato ai suoi servi fedeli.
Dove sia questo posto è la domanda che il discepolo Tommaso pone al Signore, per ricevere una risposta che illumina al tempo stesso il mistero di Dio Padre, quello del suo Figlio Gesù e il nostro. Il luogo a cui tende la vita dell’uomo, il suo ultimo approdo, a cui conduce lo stare con Gesù, è l’amore stesso del Padre. Così Benedetto XVI ne ha parlato nella sua seconda enciclica: «La parola “vita eterna” […] è una parola insufficiente che crea confusione. “Eterno”, infatti, suscita in noi l’idea dell’interminabile, e questo ci fa paura; “vita” ci fa pensare alla vita da noi conosciuta, che amiamo e non vogliamo perdere e che, tuttavia, è spesso allo stesso tempo più fatica che appagamento, cosicché mentre per un verso la desideriamo, per l’altro non la vogliamo. Possiamo soltanto cercare di uscire col nostro pensiero dalla temporalità della quale siamo prigionieri e in qualche modo presagire che l’eternità non sia un continuo susseguirsi di giorni del calendario, ma qualcosa come il momento colmo di appagamento, in cui la totalità ci abbraccia e noi abbracciamo la totalità. Sarebbe il momento dell’immergersi nell’oceano dell’infinito amore, nel quale il tempo – il prima e il dopo – non esiste più. Possiamo soltanto cercare di pensare che questo momento è la vita in senso pieno, un sempre nuovo immergersi nella vastità dell’essere, mentre siamo semplicemente sopraffatti dalla gioia» (Spe salvi, 12).
All’oceano dell’infinito amore del Padre, secondo il vangelo, si giunge attraverso Gesù, che ne è mediatore, rivelazione, comunicatore della sua grazia: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14,6). Fidarsi di Gesù come colui che è in grado di dare compimento all’attesa di pienezza dell’uomo è anche l’ultima esortazione che Benedetto XVI ci ha consegnato nel suo Testamento spirituale: «Rimanete saldi nella fede! Non lasciatevi confondere! […] Gesù Cristo è veramente la via, la verità e la vita — e la Chiesa, con tutte le sue insufficienze, è veramente il Suo corpo».
Unendo la fede in Cristo e l’appartenenza alla Chiesa le parole del Papa emerito ci fanno entrare nella condizione temporale in cui siamo chiamati ad esercitare ogni giorno il nostro discepolato cristiano, temporalità in forza del quale la nostra conoscenza di Cristo è mediata dalla storia e la nostra esperienza di Chiesa è segnata dalla fragilità. Con ambedue questi orizzonti si è dovuto impegnare Joseph Ratzinger nella sua ricerca teologica per affermare il primato di Cristo in ordine alla fede e, divenuto Benedetto XVI nel governo della Chiesa anche a fronte delle piaghe della Chiesa, che, proprio alla vigilia dell’elezione a Pontefice, aveva denunciato così: «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, quanta superbia, quanta autosufficienza!» (Via Crucis del Venerdì Santo 2005).
Eppure, aver incontrato Cristo ci ha resi, oltre le nostre fragilità, figli del Padre suo, una condizione che il mondo non riconosce, in quanto, afferma la lettera di Giovanni, «non ha conosciuto lui», Dio (1Gv 3,1). Ridare cittadinanza a Dio nel mondo d’oggi è stato un altro dei compiti di cui si è caricato Benedetto XVI. A noi che viviamo ancora in questa condizione di oscurità sono di consolazione le parole della stessa lettera quando ci dice che la visione di Dio nell’eternità sarà al tempo stesso manifestazione della nostra figliolanza divina, che ora, pur reale, resta non conosciuta «Noi fin d’ora siamo figli di Dio […] Quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2).
Nella preghiera. con cui accompagniamo il passaggio di Benedetto XVI da questo mondo al Padre, ci sorregge la certezza che il suo cammino terreno giunge al compimento in questa piena rivelazione di Dio e dei suoi figli. È questa l’ora in cui la riflessione del Papa teologo nel comporre fede e ragione lascia il posto alla contemplazione del mistero della verità che è amore: Veritas caritas est.

Giuseppe card. Betori

05/01/2023 13.05
Diocesi di Firenze


 
 


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