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Redazione di Met
Gambelli arcivescovo di Firenze. L'omelia del Card. Giuseppe Betori
"...quella forma essenziale, povera, della forma di vita e di configurazione di Chiesa che solo permette ai discepoli di Gesù di farsi vicini ai poveri, agli emarginati, loro compagni di strada, pronti a condividere e non solo a dare"
Cattedrale di Santa Maria del Fiore
Solennità della Natività di San Giovanni Battista, patrono di Firenze
Ordinazione episcopale e immissione in possesso dell’arcivescovo Gherardo Gambelli
24 giugno 2024
(Is 49,1-6; Sal 138; At 13,22-26; Lc 1,57-66.80)

OMELIA
Che l’ordinazione episcopale del nuovo arcivescovo di Firenze avvenga nel giorno in cui la città celebra la solennità della Natività di San Giovanni Battista suo patrono, è un invito a guardare al ministero del vescovo alla luce della figura del Precursore del Signore. È un riferimento alto, caro don Gherardo, ma che non deve intimorirti, piuttosto deve far sentire la tua vita inserita nel mistero del disegno d’amore in cui Dio coinvolge la nostra umanità.
Punto di partenza della nostra riflessione non può che essere l’evento stesso della nascita del Battista, titolo di questo giorno di festa. Una nascita, quella del Battista, il cui significato si concentra nel nome che l’angelo ha affidato al padre e che questi difende con decisione. «Lo chiamerai Giovanni» (Lc 1,13), aveva detto l’angelo a Zaccaria, e questi quindi, di fronte alla sollecitazione dei più – oggi lo chiameremmo opinione pubblica, pensiero dominante – afferma con decisione: «Giovanni è il suo nome» (Lc 1,63); Giovanni, jehô?anan, “il Signore si mostra benevolo, fa grazia, usa misericordia”. Alla radice dell’esistenza del Battista c’è un gesto di favore, di sollecitudine, di Dio verso i suoi genitori, liberati dalla sterilità, e poi verso l’umanità, a cui il nuovo nato dovrà annunziare la venuta del Messia. L’esistenza di Giovanni è grazia, e grazia è il ministero che, attraverso la Chiesa, il Signore ti affida, caro don Gherardo. Non temere, perché ciò che accade tra poco per te è dentro un disegno divino che ti ha scelto per farti strumento di grazia e di misericordia per il popolo fiorentino. Collocare la tua persona e il tuo ministero a favore di questo popolo dentro un orizzonte di grazia e di misericordia, ti libera dai timori che nascono di fronte alla consapevolezza dei limiti della nostra natura umana, dall’ansia della prestazione e dei risultati, dal dover fare i conti con il giudizio degli altri. Tutto è grazia in quel che oggi accade e in ogni momento del tuo servizio alla Chiesa e alla gente di Firenze. La sorgente divina di questa grazia è inesauribile e ti permette di avviarti nel tuo ministero con fiducia.
Conosciamo poi come Giovanni ha dato forma alla sua missione. Anzitutto nel condurre a Cristo sé stesso e quanti accorrevano alla sua predicazione. Egli è il Precursore, «voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore» (Lc 3,1; cfr. Is 40,3). Anche in questo, caro don Gherardo, il Battista ti sia di esempio. Ogni servizio nella Chiesa, il ministero del vescovo in particolare, ha come unica finalità preparare l’incontro degli uomini e delle donne con Cristo.
La Chiesa, come ha ricordato il Concilio Vaticano II, «è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen gentium, 1), un’affermazione che decentra la Chiesa da sé stessa e, nel contempo, la proietta verso orizzonti teologali e storici senza confini, ma tutto a partire dal suo centro, cioè dal suo capo, Cristo. Tutto in Cristo e quindi tutto verso di lui, che è all’origine e al compimento delle parole e dei gesti di salvezza in cui si esplicita il ministero.
Non hai molto da interrogarti, caro don Gherardo, su quali forme debba assumere il tuo episcopato. Esso ha un solo scopo e una sola forma: annunciare Cristo e condurre a lui quanti ti sono affidati come suo e tuo gregge. Questo nella convinzione della tua rappresentanza di lui, come suggerisce il Pontificale Romano nel Rito dell’Ordinazione del vescovo: «È Cristo infatti che nel ministero del vescovo continua a predicare il Vangelo di salvezza e a santificare i credenti mediante i sacramenti della fede; è Cristo che nella paternità del vescovo accresce di nuove membra il suo corpo che è la Chiesa; è Cristo che nella sapienza e prudenza del vescovo guida il popolo di Dio nel pellegrinaggio terreno fino alla felicità eterna».
Il Battista aiuta anche a comprendere quali fattezze debba assumere questa missione. La preparazione della venuta del Messia nel cuore degli uomini, secondo il Battista, esige una conversione. L’appello al ritorno al disegno di Dio implica a sua volta un giudizio sul mondo e il coraggio della denuncia dell’allontanamento da Colui che ne è l’origine come Creatore, la permanenza nell’essere come Redentore, la meta ultima come Signore della storia. È un ritorno alla verità dell’essere quello che Giovanni chiede ai suoi contemporanei e che testimonia anche con una forma di vita in cui tutto è ricondotto all’essenziale, una povertà scelta come distacco da ciò che può allontanare dalla missione affidata.
Non è difficile rapportare tutto questo al ministero di un vescovo, più volte richiesto di pronunciare un giudizio sul mondo, che non dovrà mai essere di condanna ma di salvezza, in quanto richiamo alla verità contro ogni falsificazione della realtà. La manipolazione del reale è probabilmente il dramma del nostro tempo e, proprio perché si vuole essere in cordiale dialogo con questo tempo, dobbiamo anche essere coraggiosi annunciatori della verità, sempre nella carità, ma sempre anche con parresìa.
Non meno importante è però quella forma essenziale, povera, della forma di vita e di configurazione di Chiesa che solo permette ai discepoli di Gesù di farsi vicini ai poveri, agli emarginati, loro compagni di strada, pronti a condividere e non solo a dare. La tua esperienza di ministero come sacerdote, caro don Gherardo, ti aiuterà senz’altro a porre i presupposti di questa conversione anche per tutta la Chiesa fiorentina; in particolare, aver toccato le periferie geografiche e quelle umane nel tuo impegno missionario in Ciad e in carcere, ti servirà a porre lo sguardo soprattutto su chi viene ignorato o scartato, ad annunciare la buona novella a coloro che appaiono gli ultimi per il mondo, ma sono i primi per il Signore.
I vangeli ci parlano poi della presenza di discepoli accanto a Giovanni, discepoli così legati al loro maestro da far fatica ad accogliere un altro maestro, Gesù, colui verso il quale era protesa tutta l’azione del Battista. Un vescovo, un pastore è tale all’interno di una comunità che – lo ricorda spesso Papa Francesco – deve saper precedere indicando la strada, con cui deve crescere nella condivisione, che deve saper ascoltare lasciandosi anche guidare e sempre attento a non perdere nessuno lungo il cammino. Edificare la comunità è opera difficile, ma, ancora una volta, non è opera nostra, bensì del «Pastore grande delle pecore» (Eb 13,10), Cristo. Il gregge è suo e non nostro; a noi vescovi è chiesto di essere suoi rappresentanti. Orientando tutto a lui poniamo le premesse perché la sua azione, che edifica nella carità, produca frutti di comunione.
Tutto questo un vescovo deve vivere con spirito al tempo stesso di paternità e di fraternità, a cominciare dal legame sacramentale con i suoi preti. Sono certo che saprai farlo, perché non ti mancano la sensibilità e la capacità di ascoltare con il cuore, per rispondere al desiderio di ciascuno di ricevere attenzione, di essere riconosciuto, chiamato per nome.
Non possiamo infine dimenticare che il coraggio della verità ha condotto Giovanni al martirio. È significativo il contesto in cui matura l’uccisione del Battista. Erode ne limitava la libertà e lo teneva in prigione, ma – annota il vangelo di Marco – al tempo stesso «Erode temeva Giovanni, sapendolo uomo giusto e santo, e vigilava su di lui; nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri» (Mc 6,20). Non è detto che la persecuzione debba per forza assumere l’aspetto del rifiuto e dell’opposizione; essa si può annidare anche all’interno di un’ambigua tolleranza, di una falsa accoglienza, perfino di una qualche forma di equivoco riconoscimento. Poi però tutto precipita quando entra in gioco la difesa di sé stessi e del potere: «[La figlia di Erodiade] entrata di corsa dal re, fece la richiesta, dicendo: “Voglio che tu mi dia adesso, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista”. Il re, fattosi molto triste, a motivo del giuramento e dei commensali non volle opporle un rifiuto» (Mc 6,25-26).
La voce della Chiesa resterà sempre una voce scomoda per le logiche del mondo e, se anche non ci venga chiesto, come a Giovanni, il sacrificio della vita, resta anche per noi il compito di non lasciarci irretire dalla seduzione del consenso o dall’illusione di un ascolto che non produce conversione o di un plauso interessato fino a quando non entra in gioco la propria posizione nel mondo. Giovanni ci insegna che la missione è fondamentalmente dono di sé, senza limiti, alla verità.
Caro don Gherardo, tra poco, nella preghiera di ordinazione, chiederò a Dio: «Effondi ora sopra questo eletto la potenza che viene da te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida […]. Egli ti serva notte e giorno, per renderti sempre a noi propizio e per offrirti i doni della tua santa Chiesa. […] Per la mansuetudine e la purezza di cuore sia offerta a te gradita». Per la potenza del sacramento, queste sono parole efficaci. A te è chiesto solo disponibilità ad accoglierle. Il Signore farà questo per te e, attraverso di te, per la Chiesa fiorentina. Noi tutti ti accompagniamo con l’affetto e la preghiera.

Giuseppe card. Betori
Amministratore Apostolico dell’Arcidiocesi di Firenze


24/06/2024 15.59
Redazione di Met


 
 


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