Diocesi di Firenze
Le Messe di Natale a Firenze in Santa Maria del Fiore e alle Piagge
Le omelie dell'arcivescovo Gherardo Gambelli
Di seguito il testo dell'omelia che proclamata in Cattedrale dall'Arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli nella messa della notte di Natale.
"Fratelli e Sorelle, “è apparsa la grazia di Dio che porta salvezza a tutti gli uomini” (Tt 2,11). Celebrare il Natale significa fare memoria di questa manifestazione di Dio nella carne del suo Figlio Gesù nato per noi, ma anche e soprattutto accogliere il dono della speranza della sua venuta nella gloria. I tempi oscuri che caratterizzano questo terzo Natale consecutivo in contesto di guerra ci interrogano profondamente e nei nostri cuori sorgono sentimenti simili a quelli provati dal Salmista: “Le lacrime sono mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: Dov’è il tuo Dio?” (Sal 42,4). Il bastone dell’aguzzino, le calzature dei soldati che marciando rimbombano, i mantelli intrisi di sangue, di cui ci parla Isaia nella prima lettura sono immagini molto simili a quelle che occupano le prime pagine dei nostri giornali e un progetto di pace con grandi obiettivi per lo sviluppo di tutta l’umanità oggi suona come un delirio (FT 16). Dov’è il tuo Dio, davanti alle tragedie del mondo? Davvero è venuto il Messia, il Salvatore del mondo? Davvero verrà di nuovo alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti?
La risposta a queste difficili domande possiamo cercarla insieme, mettendoci in ascolto delle Scritture che ci rivelano il senso autentico della festa del Natale, per accogliere la luce vera, quella che illumina ogni creatura. Contemplando il Vangelo della nascita di Gesù, proviamo a immergerci nella scena, a osservare i protagonisti per vedere quello che fanno, ascoltare ciò che dicono. Intorno al bambino Gesù ci sono tre gruppi di personaggi: Maria e Giuseppe, i pastori, gli angeli.
In un primo momento l’attenzione dell’evangelista si concentra sui genitori di Gesù e sulla loro ricerca di un luogo dove trovare un alloggio nella città di Betlemme. Per essi, infatti, non c’era posto nella cosiddetta katalyma cioè la stanza di ingresso delle abitazioni, che al mattino e alla sera serviva da soggiorno, mentre di notte era allestita in stanza da letto. Gesù nasce in una mangiatoia all’interno di quelle grotte adiacenti alla katalyma che servivano per gli animali o come magazzino per le derrate alimentari.
“Maria è colei che sa trasformare una grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una montagna di tenerezza” (EG 286), ci ricorda papa Francesco. San Girolamo che era a Betlemme, al momento della costruzione della basilica costantiniana, vedendo i marmi e le pietre preziose che andavano a ricoprire il luogo indicato dalla tradizione come la mangiatoia della nascita di Gesù, ebbe a dire che era più bello prima quando si vedeva il fango.
È interessante osservare che il verbo utilizzato per parlare del bambino adagiato nella mangiatoia è lo stesso che si ritrova alla fine del Vangelo a proposito della deposizione del corpo di Gesù nel sepolcro (Lc 23,53). Maria è presente in tutte e due le circostanze della vita del Signore e ci insegna a trasformare ancora oggi le grotte di animali in casa di Gesù, i luoghi di morte in giardini di vita, le spade in aratri, le lance in falci, (Is 2,4).
Come sarebbe bello se quel ripudio della guerra di cui ci parla l’articolo 11 della nostra Costituzione italiana si traducesse in gesti concreti per eliminare le ingiustizie nel mondo che sono sempre all’origine di contese e violenza. San Paolo nella lettera a Tito, esprime un’idea simile facendo ricorso al verbo “rinnegare”: “La grazia di Dio ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà”.
Gli incidenti sul lavoro, il problema abitativo, la disoccupazione, la situazione del carcere provocano in noi una giusta indignazione, ma poi ci accorgiamo che le nostre risposte a questi problemi sono spesso deboli e incerte. La montagna di tenerezza è quel dono di cui abbiamo bisogno di essere avvolti prima di tutto noi, per essere liberati dai nostri idoli, particolarmente quello che ci fa credere che la felicità consista nell’avere piuttosto che nell’essere. Solo allora potremo davvero ripudiare la guerra, rinnegare l’empietà e collaborare efficacemente alla trasformazione del mondo.
Il secondo gruppo di personaggi è quello dei pastori. È interessante osservare che, quando l’angelo si manifesta loro, la gloria del Signore li avvolge di luce. Come sappiamo, al tempo di Gesù i pastori erano considerati impuri e poiché non potevano partecipare al culto erano esclusi dalla salvezza. Proprio a loro viene portato il primo annuncio della nascita di Gesù: “Non temete: ecco vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore”.
Nel Vangelo di Luca la parola “oggi” ricorre molto spesso ed ha un duplice senso: da un lato esprime il compimento di qualcosa che si aspettava da tempo, dall’altro rimanda all’attualità non solo dei protagonisti del racconto, ma anche di noi lettori. La parola “oggi” ricorre in particolare nella storia di Zaccheo, anch’egli come i pastori un disprezzato perché collaboratore con il regime romano: “Zaccheo scendi subito perché oggi devo fermarmi a casa tua”. Nell’annuncio del Natale c’è già l’invito a credere nella grandezza e nella bellezza del perdono di Dio. Non c’è gioia più grande di questa: fare esperienza di un amore gratuito che sempre ci aiuta a rialzarci nelle cadute della vita, a vincere la disperazione di sentirsi perduti. Santa Teresa di Lisieux ce lo ricorda con parole piene di speranza: «Se avessi commesso tutti i crimini possibili, avrei sempre la stessa fiducia, sento che tutta questa moltitudine di offese sarebbe come una goccia d’acqua gettata in un braciere ardente».
Il terzo gruppo è rappresentato dal coro degli angeli che loda Dio e dice: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama”. “Gloria Dei vivens pauper” diceva Sant’Oscar Romero, parafrasando Sant’Ireneo. La gloria di Dio è il povero che vive. L’attenzione a chi vive in situazioni di marginalità è il modo con cui noi rendiamo gloria a Dio e collaboriamo alla costruzione della pace nel mondo.
Destano preoccupazione tutte quelle situazioni in cui il futuro sembra compromesso o comunque gravemente a rischio. Se non ci sono interventi concertati ed efficaci per accompagnare la fase di crisi che coinvolge decine di aziende e per disegnare nuovi scenari, come appare necessario per il comparto della pelletteria e dell’intera filiera della moda, nei prossimi mesi aziende e lavoratori saranno messi a dura prova. Sono particolarmente vicino a tutte le persone che hanno perso il lavoro, sono state licenziate, sono senza stipendio e anche in questi giorni vivono il grande timore di un domani incerto per loro e per le loro famiglie.
I due tragici incidenti che hanno ferito la città metropolitana di Firenze, quello nel cantiere Esselunga del febbraio scorso e quello al deposito Eni di Calenzano di pochi giorni fa, ci dicono che non possiamo mai abbassare la guardia quando si tratta della sicurezza del lavoro: è necessaria una diffusa mobilitazione delle coscienze e una assunzione di responsabilità collettiva. Il Dio che si fa bambino a Betlemme ci invita a cambiare mentalità, a credere che davvero il più grande è colui che si fa piccolo e si mette a servizio. Una piccola storia di vita può aiutarci a riflettere.
Un padre parla della relazione con suo figlio: “Mio figlio è arrivato in questo mondo in modo del tutto normale. Ma io dovevo viaggiare per il mio lavoro, avevo molti impegni. Mio figlio ha iniziato a mangiare mentre non me lo aspettavo, ha cominciato a parlare mentre io non ero a casa. Quanto cresceva in fretta mio figlio! E quanto velocemente passava il tempo! Mio figlio mentre cresceva, mi diceva spesso: «Papà, un giorno sarò come te. Quando torni a casa papà?». «Non lo so, figlio mio, ma quando sarò tornato, giocheremo insieme, vedrai». Mio figlio ha festeggiato il suo decimo compleanno. Dopo qualche giorno, mi ha detto: «Grazie per la palla, papà! Possiamo giocare insieme?». «Oggi no, figlio mio. Sono troppo occupato». «Va bene, papà. Sarà per un altro giorno». Se ne è andato sorridendo dicendo sempre la stessa frase: «Voglio essere come te!».
Mio figlio è tornato dall'università l'altro giorno, ora è un uomo. «Figlio mio sono orgoglioso di te. Siediti e parliamo un po' insieme». «Oggi no papà, ho delle occupazioni. Per favore prestami la tua macchina. Vorrei andare a visitare un amico». Ora sono in pensione e mio figlio vive altrove, in un'altra città. Oggi l'ho chiamato al telefono: «Ciao, figlio mio. Vorrei vederti». «Oh, grazie papà, anch'io vorrei vederti, ma purtroppo non ho tempo. Lo sai: lavoro, bambini. Comunque, grazie ancora per avermi chiamato. È stato meraviglioso ascoltare la tua voce!». Riattaccando il telefono mi sono reso conto che ora mio figlio è veramente diventato come me”.
Il vero amore riduce e accorcia le distanze. Aiutaci Signore in quest’anno giubilare a lasciarci sconvolgere dalla grandezza della tua bontà. Per renderci partecipi della tua divinità tu hai voluto essere come noi, fa che impariamo a vivere come tuoi veri figli, a credere che non c’è gioia più grande che dare la vita per i propri amici".
Di seguito il testo dell'omelia che sarà proclamata stamattina dall'Arcivescovo di Firenze, mons. Gherardo Gambelli nel giorno di Natale nella chiesa delle Piagge
"Possiamo riflettere sul Vangelo di oggi a partire da tre immagini: la luce, la tenda, il racconto.
La prima immagine è quella della luce: “In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”. Un’associazione umanitaria che si occupava dei ciechi in Ciad aveva come slogan “La vue c’est la vie”, la vista è la vita, il dono della luce è la vita perché ci permette di orientarci nel cammino. Ora però il testo del prologo di S. Giovanni dice che la vita era la luce (“La vie c’est la vue”), la vita di Gesù, la sua nascita la sua morte la sua risurrezione, ci illuminano, ci permettono di dare senso alla nostra esistenza. La buona notizia viene soprattutto dalla seconda parte della frase, in cui si specifica che nonostante il rifiuto, la luce non è soffocata, non è vinta dalle tenebre (“La luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta”). In Gesù, suo Figlio, Dio ci mostra che il suo amore è senza condizioni, anzi è capace di far concorrere tutto al bene, perfino il nostro peccato, quando lo riconosciamo e lo affidiamo alla sua misericordia. Per fare in modo che la vita di Gesù diventi luce per il nostro cammino, è necessario rinascere, lasciarsi generare dalla forza dello Spirito Santo: “A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da voler di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati”. Celebrando il Natale siamo invitati a rinascere: Dio si rivela proprio come colui che si fa conoscere al tempo stesso in cui ci fa rinascere.
La seconda immagine è quella della tenda. Dice infatti il testo nella lingua originale: “E il Verbo si fece carne e pose la sua tenda in mezzo a noi”. L’immagine della tenda ci ricorda le vicende dell’Esodo: Dio che cammina con il suo popolo e nel suo popolo. L’evangelista mettendo l’accento sulla concretezza dell’incarnazione, ci aiuta a difenderci dal rischio dello gnosticismo. Papa Francesco dice che gli gnostici sono quelli che “concepiscono una mente senza incarnazione, incapace di toccare la carne sofferente di Cristo negli altri, ingessata in un’enciclopedia di astrazioni. Alla fine, disincarnando il mistero, preferiscono un Dio senza Cristo, un Cristo senza Chiesa, una Chiesa senza popolo” (GE 37). Desidero ringraziare don Alessandro e tutti i membri della comunità delle Piagge per il loro impegno nei confronti dei poveri e degli esclusi, perché con il loro esempio e le loro parole ci ricordano la verità del Vangelo: il più grande è colui che si fa l’ultimo e il servo di tutti. Saremo tutti giudicati sulle opere di misericordia (“Ho avuto fame, ho avuto sete, ero nudo, straniero, malato, in carcere”).
La terza immagine è quella del racconto. “Dio nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato”. Il verbo “rivelare” nella lingua greca è exeghésato da cui viene la parola esegesi, che potremmo tradurre più precisamente con raccontare. Abbiamo bisogno della preghiera, soprattutto della celebrazione eucaristica perché proprio lì noi possiamo rivivere l’esperienza della salvezza. Nella Messa è Gesù stesso che parla e agisce, che ci racconta, rendendolo presente, l’amore di Dio. Il Giubileo iniziato ieri notte a Roma e che apriremo solennemente a livello diocesano domenica prossima è una bella occasione per lasciarci trasformare dalla grazia di Dio. Non c’è libertà né uguaglianza senza fraternità, per questo uno degli aspetti fondamentali del Giubileo biblico era la remissione dei debiti. Ognuno di noi ha un debito, non solo di natura economica, da rimettere a qualcuno. Chi ha subito un torto, certamente deve essere tutelato nella sua ricerca di giustizia, ma bisogna imparare alla fine a saper perdonare, se vogliamo davvero costruire una società solida e sicura.
Contemplando lo stile di Gesù nel vangelo, crediamo che progressivamente la grazia di Dio ci attira e ci trasforma rendendoci sempre più simili a Lui, nella convinzione profonda che la ricerca sincera della pace estingue le contese, l’amore vince l’odio, la vendetta è disarmata dal perdono.
C’era una volta un uomo che non credeva nel Natale. Era una persona fedele e generosa con la sua famiglia e corretta nel rapporto con gli altri, però non credeva che Dio si fosse fatto uomo come, secondo quanto afferma la Chiesa, è successo a Natale. Era troppo sincero per far vedere una fede che non aveva. “Mi dispiace molto, disse una volta a sua moglie che era una credente molto fervorosa, però non riesco a capire che Dio si sia fatto uomo; non ha senso per me.” Una notte di Natale, sua moglie e i figli andarono in chiesa per la messa di mezzanotte. Lui non volle accompagnarli. “Se venissi con voi mi sentirei un ipocrita. Preferisco restare a casa. Vi starò ad aspettare.” Poco dopo la famiglia uscì, mentre iniziò a nevicare. Si avvicinò alla finestra e vide come il vento soffiava sempre più forte. “Se è Natale, pensò, meglio che sia bianco”. Tornò alla sua poltrona vicino al fuoco e cominciò a leggere un giornale. Poco dopo venne interrotto da un rumore seguito da un altro e subito da altri. Pensò che qualcuno stesse tirando delle palle di neve sulla finestra della sala da pranzo. Uscì per andare a vedere e vide alcuni passerotti feriti, buttati sulla neve. La tormenta li aveva colti di sorpresa e, per la disperazione di trovare un rifugio, avevano cercato inutilmente di attraversare i vetri della finestra. “Non posso permettere che queste povere creature muoiano di freddo… però come posso aiutarle?” Pensò che la stalla dove si trovava il cavallo dei figli sarebbe stato un buon rifugio, velocemente si mise la giacca, gli stivali di gomma e camminò sulla neve fino ad arrivare nella stalla, spalancò le porte e accese la luce. Però i passerotti non entrarono. “Forse il cibo li attirerà,” pensò. Tornò a casa per prendere delle briciole di pane e le disseminò sulla neve facendo un piccolo cammino fino alla stalla. Si angustiò nel vedere che gli uccelli ignoravano le briciole e continuavano a muovere le ali disperatamente sulla neve. Cercò di spingerle in stalla camminando intorno a loro e agitando le braccia. Si dispersero nelle diverse parti, meno che verso il caldo e illuminato rifugio. “Mi vedono come un estraneo che fa paura”, pensò. “Non mi viene in mente nulla perché possano fidarsi di me… Se solo potessi trasformarmi in uccello per pochi minuti, forse riuscirei a salvarli” In quel momento le campane della chiesa cominciarono a suonare. L’uomo restò immobile, in silenzio, ascoltando il suono gioioso che annunciava il Natale. Allora si inginocchiò sulla neve: “Ora si, capisco, sussurrò. Ora vedo perché hai dovuto fare tutto questo!”"
26/12/2024 15.00
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