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Regione Toscana
Giorno del ricordo: gli interventi di Severino Dianich, Elio Varutti e Eugenio Giani
Il teologo: “La nostra è una storia che ha ancora molto da dire”. Il coordinatore del gruppo di lavoro storico scientifico dell’ANVGD: “In Toscana un grande spirito di accoglienza verso i profughi giuliano-dalmati”. Il presidente della Regione: “Serve il coraggio di guardare in faccia pagina dei martiri delle foibe”
Al centro della seduta solenne del Giorno del Ricordo, gli interventi di don Severino Dianich, docente emerito della Facoltà teologica di Firenze e Elio Varutti, coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia di Udine.

Nato a Fiume nel 1934 da genitori istriani, Dianich ha ripercorso sua vicenda personale di profugo, a partire dall’ottobre 1948 quando, dal centro di smistamento di Udine, fu mandato al campo profughi di Gaeta. Approdato poi al seminario di Pisa, punto di ritrovo di seminaristi e preti fiumani, fu in seguito ordinato prete nel 1958.

“Che nessuno offenda la nostra sofferenza facendone motivo di polemica politica – ha esordito Dianich - è una cosa indegna, non si approfitta dei morti e dei sofferenti per le proprie battaglie di partito”.

“Nel Giorno del ricordo – ha poi affermato - si pensa alle foibe del 1943 e del 1945, icona giusta, veritiera ed efficace per far capire l’entità della tragedia. La stima delle vittime è ancora molto incerta e varia da 4mila a 11mila. Ma oltre a questi morti, tra il 1943 e il 1952, si realizzò l’esodo di 300mila profughi delle province di Bora, Fiume e Zara, che abbandonarono la loro terra per sfuggire dalla miseria e da un regime, quello di Tito, oppressivo e dittatoriale”.

Dianich si è dunque soffermato sulle regioni dell’esodo. “Perché 300mila persone hanno lasciato la loro terra? – si è chiesto - . Io non sono uno storico di mestiere ma posso parlare da testimone, uno dei pochissimi ormai”. “La pressione da parte della mia famiglia non fu di carattere ideologico, non fu lo spirito nazionale o nazionalista a farci lasciare la nostra città – ha ricordato - ma il bisogno di fuggire dalla fame. Ricordo cosa voleva dire stendere un briciolo di marmellata sul pane, fare la coda per ore davanti a un forno e tornare a casa con la saccoccia vuota”. E poi la ragione ancora più decisiva: “L’oppressione insopportabile del regime e la negazione di ogni più elementare libertà. Ricordo la negazione di un paio di scarpe perché mio padre non andava alle riunioni del partito”. “Fu dunque l’oppressione, la distruzione della nostra dignità a farci lasciare la nostra terra. Se la Jugoslavia avesse avuto un sistema democratico e rispettoso delle libertà e delle minoranze non ce ne saremmo mai andati”, ha affermato.

“In Italia però – ha continuato - eravamo esuli in patria, considerati fascisti scappati dal paradiso comunista di Tito e quindi, in molti casi, non ben accolti”. Il teologo ha dunque ricordato “il miserabile livello di accoglienza offerta, il box 4x4 negli androni di una caserma dismessa nel campo profughi di Gaeta”.

Quale lezione di vita dunque ricavare da questa vicenda storica? “Rispetto al dissennato attuale revival di nazionalismi a livello mondiale, la nostra storia ha ancora molto da dire – ha concluso Dianich – . Ci meravigliamo che si possa tornare a posizioni ideologiche che hanno seminato tante lacrime e tanto sangue e che hanno portato a due guerre mondiali. Dal Deutschland über alles siamo oggi al 'make America first again'? E' una brutta domanda, mi rendo conto, ma l'analogia non può sfuggire. Passando dall'Argentina di Milei, al confessionalismo induista di Modi, per arrivare al preoccupante sdoganamento del nazismo in Germania, i nazionalismi stanno riprendendo piede. Noi fiumani, giuliani, dalmati, ne siamo stati, come popolo, tra le ultime vittime. A noi italiani di Fiume, Pola e Zara, alle nostre associazioni spetta dunque il compito di testimoniare. Le memorie che conserviamo sono un fattore importante della visione di una politica tesa a custodire e valorizzare le identità culturali non chiudendosi, ma aprendosi al mondo, al di là di tutti i confini e nella ricchezza delle diverse culture. Come dice il nome della nostra associazione di profughi fiumani: Fiumani, italiani nel mondo”.

E’ seguito l’intervento di Elio Varutti, che ha sottolineato l’importanza di parlare dei profughi giuliano-dalmati accolti in Toscana. “Gli esuli – ha affermato – in questa regione sono stati accolti in 19 campi profughi. Un’accoglienza che ha radici forti: io personalmente ritrovo nella mia storia familiare nel 1917, quando ci fu la rotta di Caporetto, antenati a Lucca e a Montecatini Terme”.

Varutti ha poi raccontato l’episodio del campo profughi di Laterina, che risale ai primi giorni di scuola del 1949 quando il maestro, un toscano, si ritrova con 60 allievi. “Ricopia nomi e cognomi, tutti con ‘ch’ finale – ha rievocato - . Poi li porta fuori dalla baracca, perché non ha banchi e sedie. Sale a Laterina e, con la colletta dei toscani del Valdarno, compra penne, matite, quaderni per fare scuola ai figli degli esuli. La Toscana ha fatto anche questo, bisogna dirlo: ci sono stati momenti duri, di repulsione, ma c’è stata anche una grande accoglienza”.

Il coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia di Udine ha poi mostrato foto e immagini d’epoca, della vita degli esuli in alcuni campi profughi in Toscana, tra cui quello di Sant’Orsola di Firenze (“dove i box erano divisi da pareti di cartone”) di Laterina, di Migliarino Pisano, di Lucca. E poi immagini delle case popolari, quando “da profughi gli esuli diventarono cittadini”. “Molte foto sono diffuse su Internet – ha spiegato Varutti – e sono un mezzo di comunicazione potente perché vengono viste dagli oltre 70mila esuli giuliano-dalmati oggi sparsi in tutto il mondo”.

“I vertici istituzionali della nostra Regione con la loro presenza danno il senso del significato e dell’importanza di questa giornata”, dichiara il presidente della Toscana, Eugenio Giani, nel discorso di chiusura della seduta solenne. “Il dramma di 350mila persone scacciate per il solo fatto essere italiani è stato giustamente considerato con legge meritevole di Ricordo in questa giornata. Il dramma delle foibe riguardò tra le cinquemila e le quindicimila vittime, non sapremo mai il numero esatto delle persone gettate nelle cavità carsiche, sia perenne fonte di memoria. ‘Ricordo’ significa tracciare uno dei momenti più drammatici della nostra storia nell’intero ventesimo secolo”, sostiene Giani e richiama “il piroscafo ‘Toscana’, che diventa simbolico: fece staffetta tra Pola e Venezia, portando quasi ventimila persone nell’arco di pochi giorni. Il ‘Toscana’ è un po’ l’immagine della nostra terra”. E, ancora, “il campo profughi di Laterina: come Consiglio regionale siamo stati là più volte, abbiamo preso impegno di realizzare qualcosa di più di una cerimonia, anche se è difficile ricostruire l’idea di museo, ma cercheremo di sviluppare questa iniziativa a perenne ricordo. Poi mi emoziona il cimitero di Trespiano, dove c’è un vero e proprio spazio destinato alla sepoltura di tanti giuliano-dalmati. Quelle terre – dice ancora il presidente della Regione – sono state sempre, nella storia, profondamente italiane. Quei territori hanno vissuto drammaticamente il momento di debolezza determinato da nostre scelte errate. L’Italia riesce a ritrovare la sua strada dopo l’8 settembre, ma è un Paese debole, soprattutto sul fronte orientale”.

Giani valuta come “molto significative le parole pronunciate in questi giorni dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione dell’apertura dell’anno che vede Gorizia e Nova Gorica capitale europea della cultura. Sarà un anno all’insegna del superamento delle barriere, dei muri, della separazione. Oggi possiamo auspicare che in nome dell’Europa si superi quella ferita delle foibe, così profonda. Molto significativo ricordare anche il contributo di tanti esuli giuliano-dalmati che hanno esercitato un ruolo importantissimo anche nella nostra Regione. È necessario – conclude il presidente – trovare il coraggio e la forza di guardare in faccia la pagina dei martiri delle foibe, ricordarla mostrando vicinanza e solidarietà ai loro eredi e ritrovando il senso di appartenenza al sentimento nazionale. La cosa peggiore è cancellare, sottovalutare, non voler ricordare”.

10/02/2025 16.54
Regione Toscana


 
 


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